Testo e foto di Tommaso Chimenti
L’aria francese si sente eccome. I colori non mancano e le vie sprizzano gioia dai murales frizzanti che riempiono le grandi pareti dei caseggiati. Montreal è un esperimento riuscito, una delle zone più antiche dell’America del Nord. Quest’anno sono 375 anni dalla sua fondazione. Folgorante il Museo delle Belle Arti con i suoi sottopassaggi per raggiungere, come talpe alla ricerca dell’opera nascosta, altri due musei collegati. Qui, in questo periodo, due mostre temporanee, diversissime tra loro, ma altrettanto entusiasmanti come “Revolution” partendo dai Beatles fino ad arrivare al movimento studentesco, gli anni ’60-’70, le Black Panthers, la liberazione sessuale, il femminismo fino ad arrivare al concertone di Woodstock, e quella di Jean Paul Gaultier, “Love is Love” con innumerevoli abiti da sposa eccentrici dove il bianco dominava.
Eclettico il Villaggio Olimpico con il vecchio stadio dell’edizione del ’76 e accanto il nuovo di Mister Saputo, il proprietario del Bologna, dove giocano gli “italiani” Donadel, Dzemaili e Mancusu. Il Quartiere Latino, accanto al Village, è un arcobaleno di giovani, teatri e ristorantini con gli immancabili hamburger e patatine o i ribs con la bbq, le costole di maiale con la salsa barbeque, qua una vera e propria religione.
Il Champs du Mart ogni notte era illuminata da un’installazione luminosa, una vergine che indicava la luna, a cura del drammaturgo quebecchese Marc Michel Bouchard. E l’Old Port che è un grande Luna Park a cielo aperto. Tanti, troppi poveri però ai lati delle strade, dormienti su panchine ubriachi, a chiedere l’elemosina, derelitti urlanti ai bordi del Primo Mondo. E’ il capitalismo, baby. E’ il liberalismo spinto, darling. Il simbolo del Quebec è un iris che tanto somiglia a quello di Firenze. Dopotutto c’è la Francia a far da collante tra l’Arno e il Canada. Ho sempre più l’impressione che il modello a cui si ispira Renzi sia il premier canadese Trudeau. Che però è più figo.