Testo e foto di Camilla Mantegazza

Protetta dai Monti Ebal e Gerizim, divisa tra musulmani, ebrei, cristiani e samaritani, la cittadina di Nablus – la Napoli del Medioriente – è autentica Palestina, la Palestina più sincera. Nablus è un perpetuo urlo festante, ingenuo, arrabbiato e orgoglioso. La festa è nelle labirintiche vie ottomane della città vecchia, colorate dagli insistenti odori della terra, è nei ciclici canti dei muezzin, è in ogni sorriso che accoglie l’ospite – il raro viso straniero. L’ingenuità corre scalza tra le vie dei campi profughi di Askar e Balata, confinati laddove la decennale assenza di diritti sfuma in un’umanità sconfinata, laddove un figlio nasce già rifugiato, all’atto stesso di venire al mondo: è il figlio che sorride, che saluta, che scruta, che ancora non conosce la disgrazia che pende sul suo capo. La rabbia è nelle colonie israeliane sulle pendici del monte che protegge Nablus, teatro di proteste, scontri e tensioni, è negli incendi alla tomba di Giuseppe, figlio di Giacobbe, è nei manifesti funebri che ricordano i tanti martiri della seconda Intifada. Ed infine l’orgoglio: nella festa, nell’ingenuità e nella rabbia. È l’orgoglio che spinge alla normalità, nonostante il perenne scontro che da 70 violenta questa terra.

Nablus è la bellezza che danza con la morte, in un rapido sfumare di immaginari così distanti, nell’intricata commistione di epoche tanto lontane che nessuna guida turistica saprà mai rendere; occorre viverla, perdere cognizione ed orientamento, annegare la percezione nel fitto reticolato delle sue strade. Storie di sangue e racconti di rinascita. Il dolore che indossa gli abiti della speranza. Il sorriso di amici sconosciuti che ti mostreranno prospettive altrimenti invisibili. Nablus, meglio di altre città, rappresenta la contradditorietà di questa terra, tanto bella quanto sfortunata: dolce, come la crema dei suoi meravigliosi kanafeh; dura e quasi sadica, nei racconti di chi ha ancora la possibilità di ricordare. Fabbriche di caramelle e depositi di armi. Echi di violenze, vinti da sussurri di felicità.