Testo e foto di Tommaso Chimenti
Il Canada è come ti aspetti che sia. Le nuvole sembrano quelle di cotone appiccicate sui fogli Bristol alle elementari, il cielo è di un blu che neanche la tavolozza di Giotto, il verde degli alberi ti regala la sensazione tattile del fresco. Accanto all’autostrada (a proposito: nessun pedaggio!) ho visto correre un orso; era sotto un pilone dell’elettricità, corricchiava con le grosse zampe posteriori a darsi la spinta e il testone a dondolare in avanti. La strada è una lingua grigia e dritta. Le montagne sembrano seni di donne in topless sdraiate a prendere il sole. I lupi, le aquile, le linci qui sono di casa. L’aggettivo giusto non è tanto “selvaggio” ma quanto “rurale” come le casette in legno con il giardino davanti e il cortile nemmeno recitato. Gli abeti e gli aceri fanno da cornice. L’acqua è pulita e potabile. I truck (i tir americani, quelli con il grande muso sporto in avanti) sfrecciano con i loro carichi lunghissimi. Le Dodge invadono l’asfalto, i pick up abbondano. L’atmosfera ci sussurra la parola “incontaminato”. Fiumi, laghi, torrenti, montagne, ruscelli. Qui, adesso, siamo su un fiordo, molto diverso da quelli frastagliati norvegesi. I sali e scendi riempiono la vista. Le distanze tra un luogo e l’altro sono chilometriche. Siamo nel nord del Quebec, a cinque ore di macchina da Montreal. Qui d’inverno nevica. Se uno proseguisse puntando la sua bussola verso nord incontrerebbe prima il Labrador e poi Terra Nuova. Grandi cani nuotatori da riporto. Cani simpatici e aperti e socievoli. Come i canadesi. Con o senza tenda.