foto e parole di Francesca Duca
Romania. Ora lo so. Cosa c’è tra te e me. 20 ore di autobus. Dalla stazione Tiburtina fino al confine. Lunghe pause sigaretta. Un cd in loop di violini e fiati. Enormi valigie. Profumo a buon mercato vaporizzato qua e là. Un giorno e una notte di frontiere. E poi tanto ancora. Ora lo so. Quanta terra nei pensieri di chi è partito. Che senso hanno quei nomi. Cluj-Napoca, Sapanta, Barsana, Viscri, Turda, Alba Iulia, e quelle parole tanto simili alle mie, la revedere, buna sera, salutare. Ora lo so. Il tuo nord. Arcaico. I villaggi. Le cattedrali in legno. I carpentieri in equilibrio. I borghi fortificati. Il treno a vapore. Le montagne alte. I castelli. le foreste scure. Ora lo so. Le soste nelle innumerevoli pensioni. Tappeti di lana, coperte di leopardo, pelli di capra. I matrimoni del sabato. Tutti in chiesa la domenica. Musiche e balli. Mani grosse. Vestiti della festa. Giacche di pecora, gonne a fiori. Capelli di platino, stivali neri. Ora lo so. Tutta una vita lungo la statale. Sulle panche davanti casa. Signore da un lato, signori dall’altro. Cappelli e fazzoletti. Auto sovietiche e costosi suv. A chi corre di più. Carri, cavalli e trattori. Il camion del miele. I chioschi delle verdure. Ora lo so. Il cibo del freddo. Anche d’estate. Stufato e polenta, colazioni lardo e uova. Palinka a tutte le ore. Trasparente. 1 leu al bicchiere. Ora lo so. Da Maramures alla Transilvania, l’odore umido del fieno. Falciato. Rastrellato. Raccolto. Giunge fino alle porte di Bucharest. La città grande. Rinnovata. Ripulita. Pedonalizzata. Niente più sandali comodi coi calzini. Romania. Ora lo so. Miniera di sale. Preziosa. Senza esser vista. Orgogliosa e schiva. Cosa c’è tra me e te. Oltre al vergognoso pregiudizio. Stesso pane, stesso cristo. Europa.