Foto e Testo di Marco Turini

Duemila metri di altezza. Macchie bianche si spostano lentamente. Non sono nuvole ma si fanno strada tra i sentieri contorti che rigano rocce e prati. Seguendo il ritmo della fatica saliamo sul sentiero sentendo lo scampanio sempre più vicino.  Dietro un tornante, un uomo solo seguito da un esercito di pecore.  Ci salutiamo come si fa in montagna, con quella comune cortesia che si riserva a chi si incrocia sullo stesso percorso.

Il pastore, a passo lento, improvvisamente si ferma e chiede se abbiamo visto altre pecore più avanti. Questa stagione ne ha perse molte. I lupi, ci spiega, stanno lentamente ripopolando la zona.  Attaccano e uccidono, e non solo per mangiare, a quanto pare. È l’istinto della caccia, innato, immutabile. Vecchio come le montagne. La natura più selvaggia che sopravvive alla modernità più volgare e invadente.

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Il pastore ha una lunga barba incolta, un cappello da alpino su cui svetta una penna spelacchiata. Mentre parla si aggrappa con le mani nodose a due bastoni guardandoci con occhi rotondi e stanchi. Indossa più strati di indumenti pesanti che stridono con il nostro abbigliamento sportivo di ultima generazione.

Ci racconta che è partito in treno da Cavalese (TR), una cittadina a circa 50 km di distanza, spendendo una fortuna per trasportare il bestiame. Perciò anche la perdita di poche pecore (almeno dieci, secondo lui, sono finite sotto i denti acuminati dei lupi) costituisce un danno enorme.  È questo, tuttavia,il territorio che ha scelto per l’alpeggio assieme a due cani con i quali condivide persino il giaciglio in una baita poco lontana.

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Marco, questo è il suo nome, ci mette poco a rompere il ghiaccio. Comincia a raccontarci della sua vita. Trentasette anni fa cominciava la sua carriera di pastore. Oggi ne ha settantadue. Una leucemia ed un tumore alle spalle. Un cancro ha portato via anche sua moglie in giovane età. Ma Marco ha la scorza dura.

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<<Sono andato da San Pietro, ma non mi ha voluto, troppe donnacce in paradiso mi ha detto, meglio se torni a fare il pastore>>. Qua non gli manca niente.  A casa passerebbe le giornata al bar, dice. <<Cominci la mattina e finisci ubriaco all’ora di pranzo sul divano. Per poi ricominciare alla sera. Finché ce la faccio, continuo a fare il pastore”. Proprio sulle montagna, racconta, ha fatto i suoi incontri più belli. <<Una volta mi hanno persino intervistato>>”. Da questo incontro, è nato persino un libro. Quelle montagne del Trentino così battute in inverno e estate da turisti di tutto il mondo, sono la sua casa.  È qui che Marco ritorna ogni anno. Con una specie di monito si congeda “le montagne stanno ferme, le persone girano”. Sprona il più vecchio dei cani e ricomincia la marcia. Lo salutiamo mentre a passo lento scompare nelle pieghe della montagna.

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Per saperne di più: (Pelizzoni Maira, Il sultano delle pecore, Edizioni Curco & Genovese).

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