Di Andrea Semplici

Giorno di festa. Si uniscono feste cristiane e feste musulmane. Ci sono vantaggi: la settimana del Ferragosto diventa, per molti, una lunga vacanza. Chi può va ‘in montagna’, mezz’ora dall’affollamento di Beirut. Il traffico quasi scompare dalle highway che accerchiano la città. La mia vecchia esperienza sulle autoscontro è utile nelle cinque corsie degli stradoni della Grande Città: tre specchietti retrovisori e le auto davanti che ondeggiano come barche a vela in virata, è un videogame guidare, con cambio automatico, per Beirut: il gioco è afferrare lo svincolo giusto, le inversioni di direzione non sono previste, mi impossesso di una corsia e cerco di rimanervi in equilibrio, mi sento piccolo a bordo della mia Toyota, i Suv mi guardano dall’alto al basso. Vengo sorpassato da Ferrari, ma precedo una Porsche. Soddisfazione. Le marce scattano da sole.

Andiamo ‘in montagna’ anche noi. Gita assieme ai frati. In cerca delle chiese dedicate a Sant’Antonio.

Grande ristorante. Libano dei ricchi. Gente delle classi medio-alte, mi dice il mio accompagnatore. Tavolate lunghissime. Parenti tornati dall’Australia, dal Canada, da Abu Dhabi, dalla Francia, dal Brasile. Diciassette milioni di libanesi vivono lontano dalla loro terra. Tre volte tanti quelli che vivono fra Mediterraneo e le montagne. Una terra appena più grande della Lucania.

Camerieri inappuntabili. Carne cruda, fegato, hummus, carne e farro, cetriolini, yogurt, salsa di melanzane, dovrei aver la pazienza di traslitterare i nomi arabi, ma sono troppo impegnato nell’assaggiare le delizie, pomodoro immenso, spiedini, taboulè, patate harra, riso, ghiaccio e arak, le vespe si danno da fare. Delizia del mezzè. Gente festante attorno a noi. Il valet del parcheggio. Un giorno fuori città. Gli chalet dell’alta montagna. Qui la neve è rimasta fino a maggio.

Frammenti di Libano. Domestiche etiopiche. Parcheggiatori del Sudan. Passano dieci squad che inseguono un capobranco con bandiera del Libano.

Deviazione turistica. Bella. Il tempio di Faqra sorge da una foresta di pietre grigie. Le colonne sono nate da un’erosione e hanno cercato una loro possenza. I custodi sono distratti, sono rimaste le rovine di un concerto rock, il sole gioca nel controluce, Zeus potrebbe essere felice a rivedersi duemila anni più tardi. C’è un’aria sgarrupata e accogliente.
Giù nella valle un uomo traffica con gli alveari. Paese del latte e del miele.

E’ così strano il primo giorno del Libano. Dove sono?