Testo di Claudio Simbolotti e foto di Giuliano Guida
Prendiamo la SP 49 e nel giro di qualche chilometro il cartello con su scritto Abruzzo ci dà il benvenuto. Alte cime svettano tutto intorno e davanti a noi, stiamo per entrare nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga a cui dedicheremo i prossimi due giorni di viaggio.
La stradina, dissestata, si inerpica alla nostra sinistra per circa 4 chilometri, è l’unica via di accesso e non abbiamo alternative. Paolo è concentrato sul percorso e sul volante, i nervi leggermente tesi e gli occhi vigili, Carolina risponde ai suoi comandi e nonostante il fondo sassoso si arrampica con tranquillità. Siamo sul pendio della montagna, sull’unica striscia bianca che separa i verdeggianti boschi di carpino, castagno, olmo e faggio. Dobbiamo salire fino alla minuscola frazione di Valzo dove nei pressi di 2 case ed una fontana termina la stradina e parcheggiamo. Il nostro rumore desta l’attenzione di un signore che esce dall’uscio e ci viene incontro, di certo non è abituato a ricevere molte visite. Chiediamo immediatamente informazioni su come raggiungere il borgo abbandonato di Laturo e lui non sembra molto sorpreso, anzi quasi se l’aspettava. Ci indica il sentiero che parte da dietro la sua abitazione, “sono circa una trentina di minuti di cammino, nulla di impegnativo e non potete neanche sbagliarvi, all’unico bivio, proprio qui sopra, proseguite sulla via principale, quella che avete di fronte”. Il signore non vive stabilmente in questo sperduto luogo ma ci viene spesso, soprattutto durante la bella stagione. A sua memoria Laturo è disabitato da almeno una trentina di anni e ci confida, che da quando un gruppo di ragazzi si è messo in testa di recuperarlo, vi è un via vai di persone.
Il cielo è terso, nuvole grigie e piene di pioggia si intravedono in lontananza, temiamo che un altro diluvio possa coglierci di sorpresa. La discussione fra noi è abbastanza accesa, non vogliamo rinunciare a questo incredibile luogo ma neanche diventare zuppi come pulcini. Si va, rompiamo gli indugi e le ultime resistenze. La mulattiera dopo un saliscendi reso un po’ difficoltoso dal fango prosegue a mezzacosta nel bosco fino a svalicare un crinale. La vista sul paese, che si scopre di colpo sotto costa, è fantastica. Arroccato a 900m su uno sperone di arenaria, si sviluppa per lungo sulla sua cresta ed offre un panorama superbo sui monti della Laga. Laturo, l’ultima frontiera, reca un cartello in legno all’entrata del borgo. Immediatamente siamo catturati completamente dal fascino che evoca codesto luogo, un’attrazione magica ci conduce al suo interno, è un vero e proprio colpo di fulmine. Il paese appare completamente ripulito dalla vegetazione infestante, vi è un orto ed un’area pic-nic, il fontanile e poi una serie di case tutte collegate, per terminare con due isolate, sulla punta dello sperone, con vista che domina tutta la vallata ed i fossi sottostanti. Delle circa quindici abitazioni sono al momento quattro quelle ad essere state completamente recuperate e ristrutturate rigorosamente con materiali originali come pietra arenaria, e legname di castagno e larice. Ovunque insegne graziose in legno riportano i nomi della piante o delle case e narrano della storia locale. A ridare vita a questo splendido borgo, fino ad alcuni anni fa in totale abbandono e sepolto da metri di rovi, è stata l’associazione Amici di Laturo. Grazie a questo gruppo di persone la ghost town è tornata a respirare e vivere, si sono organizzati eventi e feste, e proseguono nel loro duro lavoro per costruire “una vita alternativa che consista in una fuga per il fine settimana oppure un ritorno alle origini, dove la cultura montana prevale e vince sulla monotona e fallimentare vita consumistica moderna”. Probabilmente presto una di queste casa diverrà uno spartano B&B o un rifugio di montagna. Siamo soddisfatti e felici, sarebbe stata una disgrazia perdersi un luogo così suggestivo dove ci si sente fuori dal tempo e dallo spazio, e mentre torniamo dalla nostra signorina, con la mente ed il cuore, vogliamo ringraziare e sostenere gli Amici di Laturo per questo incredibile sogno che stanno portando avanti.
La SP 49 taglia verso sud tutto il Parco, il nostro andare lento non intralcia nessuno, siamo gli unici a procedere e quando una corriera quasi vuota ci raggiunge, facilmente ci sorpassa e distanzia. Carolina continua a ricevere apprezzamenti e complimenti nei piccoli centri abitati, dove sguardi ammirati, pollici alzati o semplici gesti di saluto accompagnano il nostra passare. Lasciamo la nostra arteria per spostarci sulla SP 48 e nel comune di Rocca Santa Maria svoltare bruscamente a sinistra per l’ennesima piccola e dissestata stradina. Solo 3,5 km che ci sembrano almeno il doppio, saliamo nuovamente, il verde è il colore che domina incontrastato, le alte cime innevate si stagliano in alto innanzi ai nostri occhi, è l’ennesimo panorama da favola che abbiamo il piacere di ammirare. Il cartello Serra ci avvisa di essere giunti alla piccola frazione al termine della strada, una chiesa sulla sinistra ed una curva che copre l’abitato, appena superata un’imprevista sorpresa. A guardia del ponticello che permette l’accesso al borgo troviamo un pastore abruzzese di colore bianco. Siamo paralizzati, l’accesso è bloccato e non sappiamo come procedere, temiamo che scendendo ci possa attaccare. Inizia una lunga manovra di studio ed avvicinamento. Apriamo, no richiudiamo gli sportelli, il cane si alza, si siede, ci avviciniamo in auto e lui si allontana, eccolo il modo. Conquistiamo metro dopo metro, Carolina è stretta ai lati dalle abitazioni, ormai siamo sull’unico vialetto del borgo, più avanti non si può andare, i pochi metri rimanenti devono essere fatti a piedi, ma siamo ancora incerti. E’ solo grazie all’arrivo dell’unico abitante, che sta rientrando dai boschi con un cesto di funghi, a sbrogliare la situazione, ci libera dall’ambiguo contesto con un semplice “tranquilli è buonissimo”. In effetti come scendiamo è il cane che continua ad essere intimorito dalla nostra presenza finché alla fine si allontana scodinzolando. Notiamo immediatamente che le due case a noi vicine sono in ottime condizioni, risistemate e con infissi nuovi e sulla facciata di una vi è una targa commemorativa dedicata al geologo ed esploratore Dario Di Paolo (Ventimiglia 19-6-1959 Riobamba (Ecuador) 14-8-1992). Ci chiediamo come mai vi sia proprio lì quel ricordo, cosa sia successo a questo ragazzo di 33 anni e se l’uomo che abbiamo incontrato, essendo entrato proprio in quello stabile, sia un suo parente. Raggiungiamo l’estremità del borgo che termina su uno sperone roccioso che domina l’area delle sorgenti del torrente Vezzola e ci rendiamo conto che i restanti 7-8 edifici sono in totale abbandono, alcuni proprio crollati e con la vegetazione folta che ha ripreso il sopravvento. Vorremmo dare una risposta alle nostre domande e sapere di più di questo luogo dimenticato, fare due chiacchiere con quell’uomo ma non ce la sentiamo di disturbarlo. Non sappiamo se superare quella sottile linea che delimita l’invadenza dalla curiosità, non capiamo se vuole restare nella sua solitudine e pace o se semplicemente, essendo un uomo di montagna e non abituato alla compagnia, ha bisogno di essere spronato. Fatto sta che andiamo via con il rimpianto di non aver osato e con la malinconia di non aver condiviso con lui il nostro tempo.
Le strade minori dell’Italia appaiono tutte molto simili, affascinanti e poco trafficate e così prima girovaghiamo sulla SP 47 ed infine sulla SP 45 ormai prossimi al fine tappa odierno. A Crognaleto ben oltre quota mille abbiamo l’impressione di essere in cielo, un banco di nuvole ci copre la via e siamo praticamente costretti ad attraversarle guidando quasi alla cieca. Frattoli è una frazione che conta ormai circa una trentina di abitanti, non ci sono attività ad eccezione del bar/trattoria i Monti della Laga dove siamo ospitati. Araldo e Valentina, i proprietari del locale, sono due persone eccezionali e ce ne rendiamo subito conto, sembra di essere in famiglia, molto cordiali e alla mano ci troviamo in perfetta sintonia con loro. La cena è deliziosa e praticamente tutto il cibo è prodotto da loro stessi, la lunga tavolata è composta oltre che da noi, dalla loro famiglia e da un amico che è venuto a trovarli. Si parla di tutto e a lungo, della drammatica situazione in cui versa l’Italia, di un governo che taglia servizi, privatizza e distrugge la Costituzione, della crisi mondiale in corso, di delusioni e di speranze che ora qualcosa possa finalmente cambiare in meglio, di lingue straniere e di viaggi, di piccole comunità e di come sia difficile resistere fra mille ostacoli burocratici e le tasse, e che basterebbero cinque o sei coperti tutti i giorni per stare più tranquilli. Ci assicurano che sono gente tosta e caparbia, che non molleranno e che resisteranno finché potranno e noi non possiamo che fargli i nostri migliori auguri. Ci suggeriscono di visitare il borgo di Altovia che è abbastanza vicino e che da gosth town è stato completamente ristrutturato e nel periodo estivo si ripopola completamente.
La sala è piena di vecchie fotografie del paese, frammenti di ricordi personali o ritagli di giornale che menzionano l’abitato, in un angolo su un tavolo noto un libro fotografico, con un po’ di emozione lo sfoglio delicatamente. E’ il libro che celebra il giorno dei funerali di Berlinguer e la straordinaria partecipazione popolare a quel triste evento, “noi c’eravamo e mia moglie è anche in una di quelle foto”, sorrido ad Arnaldo e capisco il perché di quell’immediata simpatia nei suoi confronti.
Nuovo giorno e di nuovo in marcia, Carolina aspetta paziente mentre noi salutiamo i nostri nuovi amici che dobbiamo tornare a trovare presto. La prima sosta è nella vicina frazione di Cesacastina, a 1140 metri di altezza e base ideale per avventurarsi sui sentieri per i monti della Laga che ad occidente sovrastano il paesino. Di persone in giro un po’ ce ne sono, qui come in molti altri posti in estate gli abitanti si moltiplicano. Una breve passeggiata ci porta a scoprire, dipinto sulla facciata di una casa, il Quarto Stato di Pellizza da Volpeda, un’opera che ci mette di buonumore, li vicino un ragazzo gioca con il suo splendido cane husky.
Nella piazza dove ferma la corriera incontriamo il “giovane” Luzio, un arzillo e tenace novatatrenne che attacca subito bottone. “Qua ci sono solo due corse di bus e il paese si sta svuotando, sono tutti emigrati a Roma o all’estero, oramai sono soltanto una trentina gli abitanti fissi tra cui tre giovani ma non c’è nulla da fare e manca il lavoro”. Si lamenta che le 13 frazioni del comune di Crognaleto sono quasi tutte disabitate mentre una volta ognuna aveva la sua squadra di calcio, mancano attività economiche ed è convinto che fra un po’ torneranno i lupi e la vegetazione a riprendersi il paese. “Io sono nato qui, una volta erano tutti pastori, ora ce ne saranno si e no 2-3, si faceva la transumanza ai miei tempi e si stava diversi mesi lontani da casa”; le scuole anno chiuso i battenti da anni, il camioncino con i beni di prima necessità passa due volte a settimana, mantenere le case in buone condizioni ha dei costi notevoli e così sempre più persone le trascurano mandandole in rovina e solo la settimana di ferragosto li si vede ritornare in questa terra. “Ogni anno qualche vecchio ci lascia e le case restano vuote, così piano piano questo paese sta muorendo”, un grido di allarme che vogliamo fare nostro, bisogna invertire la rotta e qualche esempio a cui ispirarsi crediamo di averlo incontrato.
La splendida statale 80 ci lascia entusiasti, il panorama è magnifico, verdi prati e numerosi pini riempiono questa parte del Parco, e l’andatura di pochi chilometri orari ci fa godere in pieno di questo spettacolo. Prendiamo la SP 86, si sale ancora di più, poi inizia un immenso altopiano, l’impressione è quella di essere sulla sommità della catena montuosa, una zona di alpeggio, prati rigogliosi, cavalli e bovini al libero pascolo, il cielo bassissimo quasi a portata di mano. Un luogo sublime, paradisiaco, in cui concedersi una rigenerante sosta. Dai prati arriva un tipo con un cesto stracolmo di enormi funghi prataroli, “ci vengo spesso, qui si sta veramente in grazia di Dio”. Viaggiare così è un piacere indimenticabile, poche le auto, ogni tanto qualche motociclista, un gruppo di tedeschi suonano il clacson e ci salutano, Carolina ormai è la regina indiscussa, da quassù ci sentiamo padroni del mondo. La statale 17 bis punta verso la vetta del Gran Sasso, abbiamo raggiunto il cuore dell’Appennino, soddisfatti attraversiamo tutta la piana di Campo Imperatore, il terreno circostante spoglio di vegetazione trasmette sensazioni lunari, siamo a 1600 metri di altezza, fermi nel nulla, occupando l’intera carreggiata, ci guardiamo intorno quasi increduli. La stretta SP 97 in cui a malapena possono incrociarsi due mezzi si dipana verso sud, poi una ripida discesa, fatta di continue curve che provocano un forte surriscaldamento dei nostri freni, ci conduce direttamente nell’ormai famosa Santo Stefano di Sessanio.
Il piccolo ma splendido borgo medievale è per buona parte un cantiere a cielo aperto, il terremoto del 2009 ha provocato innumerevoli danni e si sta ancora lavorando per recuperare tutte le strutture. La stessa torre, divenuta un po’ il simbolo del comune, deve essere in parte ricostruita a seguito del crollo subito. Il primo impatto evidenzia da subito che questo è un luogo vivo, pieno di gente e di attività nonostante i residente siano appena sopra i cento. Locande, B&B, botteghe e bar, è un alternarsi di attività commerciali e case curate e graziose, turisti che passeggiano per le viuzze e cartelli con programmazioni di eventi culturali. Il palazzo municipale ospita un museo ed un punto informativo, tutto appare dedito al turismo ma non per questo sembra aver perso la sua natura di borgo autentico. Le scuole sono aperte, la posta in funzione ed un regolare servizio di bus permette di giungere qui anche con i trasporti pubblici. Entriamo in un bar trattoria molto gradevole, abbellito con un discreto tocco di classe ma allo stesso tempo alla mano ed in un attimo ci facciamo raccontare la loro storia. I turisti sono molti, principalmente dall’estero ma anche dal resto d’Italia, sono una trentina le attività commerciali in funzione che danno da vivere ad un’ottantina di persone, la decisione di investire sul turismo è partita una ventina di anni fa quando, grazie anche a un finanziamento europeo, sono state avviate le prime strutture, poi l’ottima risposta ricevuta ed il trend positivo hanno dato lo stimolo affinché ne fossero aperte altre, infine la creazione dell’albergo diffuso, ad opere di un miliardario italo svedese, ha reso famoso in tutto il mondo il seducente borgo di Santo Stefano. “Praticamente anche questo paese era, come molti altri, sulla via dell’abbandono, poi la giusta decisione di dedicarsi al turismo ed il rilancio. Ora rappresentiamo una controtendenza, giovani coppie si trasferiscono qua e la media dell’età è relativamente bassa. Praticamente tutta la popolazione campa con il lavoro che qua produciamo”.
A poca distanza sorge un altro luogo incantevole ed indimenticabile. Lasciamo Caterina al parcheggio prima della porta di entrata del borghetto di Rocca Calascio e ci inerpichiamo a piedi per raggiungere la vetta. La piccola fortezza sorge a circa 1500 metri di altezza e domina a 360 gradi l’intero territorio circostante, costruita intorno al mille era utilizzata come punto d’osservazione militare in comunicazione con una serie di torri e castelli vicini. La rocca resta ben conservata e completamente visitabile, vi si accede tramite un ponticello in legno ed è composta da una cerchia muraria a cui angoli sorgono quattro torri e al centro primeggia il mastio. Da qui possiamo ammirare una delle più suggestive vedute dell’Abruzzo, ne siamo entusiasti, si riconoscono tutte le principali catene montuose e lo sguardo spazia indisturbato da un orizzonte all’altro. La suggestione è forte, gli echi del passato risuonano nelle nostre orecchie, e come novelli cavalieri siamo pronti a batterci per difendere questo sito magico. Del primo nucleo abitativo nato intorno alla fortezza restano solamente pochi ruderi, mentre l’attuale borgo, costruito nel seicento più in basso, si presenta oggi in buono stato e degno di una accurata visita.
A raccontarci la storia è Paolo, simpatico romano trapianto in questo sperduto luogo nel lontano 1994. “Ci siamo trasferiti qui con mia moglie e mio figlio piccolo, questa era una città fantasma, gli edifici erano tutti ruderi in rovina e l’ultimo abitante se ne era andato da quarant’anni. Nel ’96 la folle idea di aprire la Locanda della Rocca, un albergo diffuso e bar/ristorante, oggi come vedete ci sono diversi turisti, altre due trattorie e quasi tutti gli edifici sono stati recuperati, con i proprietari che vengono a trascorrerci le estati”. Nel frattempo la sua famiglia è aumentata, sono arrivati altri due figli ma continuano ad essere gli unici a viverci per tutto l’anno. “Quando siamo giunti qui, a Calascio il comune qui sotto, vivevano 150 persone ora sono rimasti solamente in 60, le scuole sono ancora aperte ma non vi sono negozi, c’è un solo bar ed anche il pane bisogna ordinarlo”. La coraggiosa scelta di Paolo e di sua moglie ci fa riflettere, grazie a loro questo luogo da favola ha ripreso vita e rappresenta un prezioso esempio e una speranza per tutta quell’Italia minore che resiste, indomita, alla distruzione ed all’omologazione.