Testo e foto di Eija Tarkiainen
Prima di iniziare a scrivere queste pagine, ho acceso un incenso, con i fiammiferi svedesi (adoro il suono frusciante del momento in cui la fiamma divampa) e anche qualche candela, anche se a mezzogiorno basterebbe la luce che entra dalle finestre, attraverso le orchidee e il lilium sul davanzale (i profumi sono geni!).
Dico due parole alle piante verdi ai piedi del mio divano e chiedo ai miei avi e a tutti gli spiritelli della casa di stare con me.
In Finlandia, il senso della casa si estende fino al cortile, e da lì nel bosco circostante, fino al lago, o a un corso d’acqua più vicino. Lì faccio sempre una visita anche alle loro fate. In modo particolare sto qualche istante in quello spazio del giardino che tradizionalmente è lasciato incolto, un luogo che non deve essere toccato perché possa esprimersi spontaneamente. E’ lì in particolare che si riaccende la consapevolezza che la caratteristica fondamentale di tutta la vita è: l’impermanenza, l’evanescenza, l’incertezza e la fragilità. Ed è la natura, attraverso le sue forme, che può ispirare di Bellezza l’immaginale* dell’essere umano affinché la possa ricreare. La natura tutta è Anima, è Bellezza che non ha un suo opposto: non divide il bene dal male, il giusto dallo sbagliato. Ogni atto di creazione umana, che sia una realizzazione materiale o un’idea, ricalca solo la mente impoverita utilitaristica, se manca di poesia, e della dimensione dell’invisibile. “Quel che possiamo immaginare, possiamo realizzare”, scrisse Goethe. Se continuiamo a escludere la natura dalle nostre vite, quali mondi possiamo creare?
La mente iper-razionale, patricentrica che coltiviamo e nutriamo nell’illusione di poter controllare e governare la vita, fuori e dentro di noi, ha rimosso e depredato l’anima, la natura, l’invisibile. Non occorre scomodare le ricerche recenti sulle neuroscienze e fisica per sapere che la materia è pura coscienza: se ci fermiamo ad ascoltare, lo sentiamo. L’invisibile – anche in noi essere umani – è la parte indomabile e diventa materia. Quel che possiamo fare è collaborare con essa.
Tutto questo, che cosa ha a che vedere con il tema dell’abitare le città?
Osserviamo e percepiamo nel mondo ciò che abita dentro di noi. Per rimembrare in noi e manifestare i valori della Bellezza, che raccontano di Bellezza, armonia e amore, abbiamo bisogno di abitare nei luoghi che l’anima contengono. La natura è pura possibilità, il principio attivante dell’immaginale che può creare nuovi modi, prospettive e mondi. Infatti, a volte si dice che un posto è un luogo ha l’anima, e intendiamo dire che ci evoca un’emozione. Nelle tradizioni dell’artico, ancora vive in noi finlandesi, sentiamo che ogni luogo ha uno spirito, una fata, una divinità. Non è qualche cosa che si vede: si sente, si percepisce.
Il concetto del Bello potrebbe essere accostato a ciò che è naturale, ciò che crea la connessione con la natura – dentro e fuori di noi. Quando le città e gli ambienti sono costruiti solo per contenere, proteggere dal freddo e isolarci dal mondo esterno, per essere funzionali quindi per produrre e consumare, finiscono per depredare le risorse anziché ispirare e stimolare l’energia vitale, la creatività e l’entusiasmo (pare derivi da èn-theos: “pieno di un dio”). Ed è all’entusiasmo che l’umanità dovrebbe bramare, più che mai ora, per lasciar andare le ideologie e la lotta di potere.
E’ interessante che la parola “abitare” abbia lo stesso radice dell’”abito” che indossiamo. L’etimo della parola si riferisce anche all’abitudine, nemico acerrimo della capacità di meravigliarsi dell’esistenza.
La pelle, l’organo più vasto dell’organismo umano, svolge svariate funzioni: costituisce la protezione per eccellenza, ma anche la connessione tra l’individuo e la società. Le sue funzioni sono anche quelle di agevolare la regolazione della temperatura corporea. La pelle esprime anche il nostro modo di vivere la vita; è una specie di cartina geografica dell’anima, il palcoscenico delle emozioni fondamentali. La pelle è simbolicamente il punto di giunzione e di distinzione tra interno ed esterno, tra io e non-io, tra sé e il mondo. La pelle ci connette e allo stesso tempo ci distingue dal mondo. Ciò che non fa è separare. Siamo distinti sì, ma non separati dagli altri, da ciò che circonda. Per quanto proviamo a barricarci contro la vita, siamo connessi con il Tutto.
La seconda pelle, i nostri abiti, a ben guardare svolge una funzione affine, anche se spesso li usiamo per velarci al fine di ottenere approvazione e amore. Indossiamo anche abiti comportamentali che ci illudiamo possano offrire riparo dalle tempeste.
Allo stesso modo la nostra terza pelle, le case e i luoghi che frequentiamo, riteniamo che debbano offrire soprattutto un’ulteriore protezione contro i pericoli del mondo.
Quando siamo abitati dalle paure, quando non accettiamo la naturale incontrollabilità della vita, cerchiamo le sicurezze, la staticità, la prevedibilità e percepiamo i nostri tre abiti solo come confine che ci separa dagli altri anziché il luogo di scambio. E’ evidente ai nostri occhi che questa non è un’operazione senza conseguenze.
Un’opera architettonica è quindi viva ancora prima di essere animata dai suoi abitanti. E come ogni cosa vivente si modifica, pulsa, partecipa e si relaziona.
I nostri habitat esercitano un’immensa influenza sullo stato d’animo. E così torniamo al concetto dell’invisibile, agli spiriti. Se preferite possiamo designarla come coscienza, che è il vuoto per la fisica e la vacuità per la filosofia; per entrambi pura possibilità. L’architettura, come la natura, ha a che fare con materiali, forme, ma anche con spazi e vuoti che si creano.
Le costruzioni urbanistiche, prima ancora che rappresentare un’interruzione del vuoto, creano il vuoto che è coscienza. Ne sentiamo la presenza quando non siamo troppo anestetizzati dai rumori del mondo e della mente. E sono quei vuoti che contano per altri sensi che non siano la vista: sono luoghi che generano idee, incontri, progetti, stati d’animo da tradurre in azioni. Qualcosa di invisibile ed intangibile diviene corpo, si innesta nella materia. Così anche tra l’uomo e ambiente: ciò che è all’esterno di una persona, diventa l’interno della sua mente e del suo corpo.
Cerchiamo intuitivamente luoghi naturali e spazi architettonici in cui il palpito dei materiali, la luce, i suoni e gli odori che contano e che vibrano tra di loro, siano auspicabilmente in armonia con il paesaggio e anche con la funzione che quello spazio esercita.
I vuoti stabiliscono le relazioni tra le singole persone e la complessità del vivere comune. In tutti i nuclei abitativi si forma e si organizza la società; è viva, parte della natura. L’architettura che li crea deve essere organica, così come siamo organici noi e il mondo che ci circonda.
Stare è più importante di abitare; abbiamo bisogno di luoghi in cui stare… ascoltarci, esserci.
La nostra sensibilità naturale diminuisce, la vitalità s’indebolisce nei luoghi dove l’anima è stata esclusa, dove manca il dialogo con quella potenza misteriosa e inafferrabile.
La cultura europea coltiva pensieri immensi ed eterni sentimenti, che nelle latitudini artiche apprezziamo, ma coltiviamo meno. La cultura balto-finnica, come quella degli architetti Alvar Aalto e Elias Saarinen, padroneggia atmosfere spirituali, consapevolezze ombrose e misteriose. Che senso ha una casa se dentro e intorno non ci sono spazi significativi dall’estetica magica?
E’ già penombra. Sintonizzo spotify su playlist di musiche di Sibelius e sposto le candele lontane da ogni oggetto infiammabile. Le lascio accese per gli spiritelli di casa che, come sempre, saluto ad alta voce prima di uscire. Non intendo neanche questa volta dimenticare l’insegnamento di mio figlio quado aprirò il portone della scala. Anche se i suoi soggiorni in Finlandia sono stati brevi e sporadici, a cinque anni mi osservava con stupore nel sentire il mio lamento perché non avevamo un giardino. Mi dice, in finnico naturalmente: “Madre, ma abbiamo un giardino immenso”. Al mio sguardo perplesso continua: “Il parco Valentino”. Se si dovesse tradurre quella frase letteralmente suonerebbe così: “Accanto a noi c’è un giardino immenso.” La lingua finlandese, al posto di utilizzare il verbo “avere”, esprime il concetto “accanto a qualcuno c’è”. E visto, che “accanto a me” c’è come “mio” cortile piazza Vittorio Veneto e il parco Valentino che funge da bosco rinfrescato dalle acque del fiume Po, ora vado a salutare le loro fate. Insieme invocheremo gli addetti dell’urbanistica, affinché valorizzino sempre di più il verde e gli spazi armonici anche per l’invisibile da abitare.
*Immaginale: termine introdotto da Henry Corbin; un mondo non influenzata dalla fantasia del soggetto ma connessa all’interiorità della psiche)
Eija Tarkiainen, finlandese residente in Italia da 37 anni. Laureata in Lettere e Filosofia, diventa formatrice, conferenziere e scrittrice dopo anni di studio e lavoro. Ricercatrice appassionata del lato notturno del sapere, raccorda miti e simboli con la dimensione emotiva e spirituale, quello stato dell’anima che possiamo esplorare quando i sensi sono accesi e il corpo ne percepisce appieno l’armonia.
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