Testo e foto di Francesco Parrella
Morire a Varanasi, città sacra per eccellenza per gli induisti, significa per loro sfuggire all’eterna reincarnazione (Samsara). Per questo da millenni il sogno di ogni devoto é quello di essere cremato nell’antica Benares, cosicché le proprie ceneri siano disperse nel fiume Gange, adorato anch’esso nella forma personificata della dea Ganga. Impensabile che tutti gli induisti, che sono circa l’80 percento della popolazione indiana, possano essere cremati a Varanasi. Ciononostante sono tanti gli indiani che portano qui il feretro del proprio caro, giungendo da ogni parte dell’India, sostenendo spesso anche cospicui oneri economici. Per i meno abbienti, esistono lungo i ghat (le scalinate) che portano al fiume, dei palazzi, spesso fatiscenti, gestiti e trasformati dagli enti governativi in ospizi, dove gli anziani che decidono di aspettare la morte a Varanasi, possono trovare ospitalitá. I ghat adibiti alle cremazioni sono due, su un totale di ottantasette: il più antico é Manikarnika ghat, quello più recente é il Harishchandra ghat, che dispone anche di un crematorio elettrico.
La salma una volta giunta a Varanasi viene normalmente caricata su un tuk tuk (un’Ape a tre ruote, coperta sopra e aperta ai lati, che in India é anche la forma di taxi più diffuso). Per arrivare ai ghat bisogna attraversare un labirinto di strettissime viuzze all’interno della città vecchia dove i tuk tuk non riescono a passare, perciò per qualche chilometro é necessario che i parenti del defunto trasportino la salma, giá bendata e ricoperta di fiori, a spalla, facendosi largo tra la mole di persone che affollano le vie, mucche che rovistano tra i cumuli di rifiuti abbandonati, capre e cani. Una volta arrivati al ghat per prima cosa si dovrà acquistare la legna che andrà a formare la pira. Ci sono enormi cumuli di legna in prossimità dei crematori dove i parenti acquistano a peso i chili necessari. Il costo del funerale varia anche a secondo della posizione all’interno del ghat, centrale o meno, dove avverrà la cremazione. Ma prima di adagiare il feretro sulla pira, la salma viene immersa e bagnata quasi totalmente nel Gange. Solo dopo verrà adagiata sulla legna, con la testa rivolta a nord e i piedi a sud. Il corpo della salma viene poi cosparso di legno di sandalo, burro chiarificato, e qualche goccia di acqua raccolta dal fiume sacro. Testa e volto sono coperti. Solamente gli uomini possono prendere parte al rituale, mai donne e bambini. La pira viene accesa o dal figlio maschio del defunto o dal parente più stretto, che per l’occasione indossa una tunica di colore giallognolo, e l’accensione avviene non prima che questi abbia fatto cinque giri intorno alla pira. La tradizione vuole anche che per i bambini, le donne incinte, o i morti in circostanze particolari, ad esempio in seguito ad un morso di un serpente, non si proceda alla cremazione del loro cadavere, che invece viene gettato direttamente nel Gange con una pietra al collo.
Intanto, accesa la pira prima che il corpo del defunto diventi cenere occorrono diverse ore. Nessuno dei familiari che assiste alla cremazione versa lacrime o si lascia andare in manifestazioni di dolore. C’e’ chi si riscalda vicino al fuoco. Chi parla sottovoce con le persone a lui vicine ripercorrendo forse la vita della persona estinta. Di tanto in tanto il personale del crematorio, per lo più ragazzi giovanissimi se non adolescenti, attizzano la legna e quando occorre tengono lontano i cani. Una volta poi che il fuoco ha trasformato il corpo del defunto in cenere sui tizzoni rimasti accesi viene gettata dell’acqua per spegnerli. Al mucchio di cenere si avvicina poi il figlio maschio o il parente prossimo del defunto con in mano un’urna di terracotta al cui interno depone i frammenti ossei inceneriti che discerne dal mucchio di cenere più scura prodotta dalla legna. Terminata la selezione l’uomo con l’urna seguito dagli altri parenti si avvia verso il Gange e nelle acque del fiume sacro rilascia le ceneri del proprio defunto. Nel frattempo sul luogo dove é stata accesa la pira si radunano gli addetti del crematorio. Con un rastrello uno di loro raccoglie in un cesto di vimini a forma di imbuto la cenere rimasta e poi, seguito da altre tre-quattro persone, si avvia anche lui verso il fiume. Entra in acqua e immerge il cesto nel Gange in modo da far disperdere la cenere e, sotto lo sguardo attento dei suoi colleghi, controlla se nel cesto di vimini sia rimasto qualcosa, oro, anelli, collane, o qualunque altro oggetto prezioso che i parenti del defunto hanno lasciato a corredo della salma. Non a caso una delle famiglie più ricche di Varanasi gestisce da generazioni uno dei crematori più ‘affollati’ della città. Intanto, il corteo dei parenti dopo aver disperso le ceneri del loro defunto nel fiume, torna verso la pira con l’urna piena di acqua raccolta nel Gange e la versa lí dove il loro caro é stato appena cremato, lavando così ogni residuo di cenere. Terminata la cerimonia funebre ai parenti non resta che pagare gli addetti del crematorio, che ringraziano. Nel frattempo arriva anche un santone, a Varanasi ne girano tanti, e chiede ai parenti un’offerta per una benedizione del loro caro scomparso. Nessuno tra loro se la sente di negargli un offerta e il santone riceve le sue venti rupie, prima di spostarsi vicino a qualche altra pira che ha appena finito di ardere.