Testo e foto di Luisa Fazzini
Abbiamo un punto di vista da ombelico eurocentrico. L’impegno delle guide locali che, conoscendo noi Europei che ignoriamo, si sofferma a spiegare il valore di sovrani, scienziati o matematici da premio Nobel ante litteram, mi fa tenerezza. Le pervade una pedanteria assolutamente giustificata dalle nostre facce disorientate. Tutto viene dettagliato, anche ogni edificio, decorazione e funzione. Guide stoiche sotto il sole a cinquanta gradi con una scolaresca che è stata assente alle lezioni di civiltà comparata degli ultimi duemila anni.
Noi siamo quelli che vengono dal centro del mondo, quelli che hanno nel loro DNA il gene del paternalismo accondiscendente del colonizzatore superiore. Ma qui la storia, la scienza, la bellezza ti disarmano. E capisci il senso autentico del viaggiare che perdona la miopia di un continente autoreferenziale che studia solo se stesso. Qui si fa esercizio di orizzonti spalancati. A ogni passo, in ogni strada, dai centri urbani al deserto, alla scia della Via Lattea.
Il testo della mia cartolina è vuoto. Dovrei raccontare troppo, senza avere le parole giuste: la potenza di città che si ergono nel nulla, la creatività raffinata e indecifrabile dei monumenti, la genialità di studiosi che ha lambito l’Europa, la storia di condottieri che hanno unificato imperi di sabbia e di stelle. L’Uzbekistan è un’emozione di pelle. Bisogna viverlo.
Anzi, ho deciso. Scrivo solo questo: partire per tornare più umani di sguardo. Perchè l’Uzbekistan è una grande lezione di umiltà. E’ la consapevolezza che dobbiamo uscire dai nostri confini di pensiero. E’ la presa di coscienza di una meravigliosa ignoranza perchè lo stupore che ti avvolge in questa terra ha ancora qualcosa della visione di chi un tempo partiva dall’Europa verso l’Ignoto.