Passeggiando per i vicoli di Damasco si incrociano ragazze vestite all’occidentale, magliette scollate, gonne al ginocchio o jeans skinny, vestiti lunghi e vestitini, capelli lunghi e cotonati, pendenti di ogni forma e grandezza, trucco impeccabile. Unica regola: pancia, schiena e spalle coperte, nulla troppo al di sopra del ginocchio. Regole che valgono per cristiane e musulmane con l’unica diversità di un hijab. Anche se questo è portato con grazia e molto stile, quasi a risultare un accessorio al pari di una borsa firmata. I tacchi sono di rigore, le sopracciglia ridisegnate con un tatuaggio, la manicure impeccabile. Ragazze e donne bellissime che ricevono sguardi furtivi a discapito delle occidentali che riscuotono occhiate languide da uomini di tutte le età, palpate “tocca e fuggi” e frasi sconce.
Passeggiando tra queste donne vestite all’occidentale ci si scontra con i lunghi veli neri sovrapposti i niquab e burqua, che svolazzano sfiorando l’asfalto come fantasmi neri. Donne che sollevano con circospezione il velo che ricopre interamente testa e volto per bere un sorso d’acqua da una bottiglietta, sorseggiare una bibita con la cannuccia o infilarsi svelte un boccone in bocca.
Donne misteriose, mai da sole, spesso donne che fanno risuonare i tacchi sul pavè.
Donne provenienti dagli stati del Golfo e dall’Iran.
Donne che riempiono le moschee sciite in un’orgia di chiacchiere, pianti, chi prega e chi recita il Corano.
Donne che in moschea, protette dalla divisione fra uomini e donne fanno scivolare il velo che ricopre il volto rivelando grandi sorrisi.
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Nel 2009, almeno 29 donne sono state uccise in nome dell’onore; coloro che hanno perpetrato questi crimini, quando perseguiti, hanno ricevuto condanne lievi. A dimostrazione di una discriminazione legale. Il livello di repressione sessuale, in Siria, è percettibile poiché estremamente forte, le regole e le pene severe.
Sfilarsi le ciabatte e sentire il marmo tiepido, il contatto delle piante dei piedi con le lastre calde e dure; camminare lentamente attraverso il cortile e, infine, sentire il contatto con i morbidi tappeti, ritrovarsi tra le colonne, tra il silenzio borbottato. Giungere in moschea durante una delle cinque preghiere canoniche affascina. Nel corridoio centrale ci si trova circondati da uomini e donne divisi tra loro, in preghiera. L’imam ritma i loro gesti con una passione che sfiora il pathos, la cantilena a mezza voce, dolce e roca, i gesti di centinaia di persone, simultanei come un sol uomo, la concentrazione e la dedizione sui volti. La passione della preghiera. La sottomissione nell’inchinarsi e rialzarsi, è come una lunga ed estenuante richiesta di perdono.
Quando non sono in preghiera, è bello scivolare nella parte riservata alle donne della moschea sciita; una donna allatta con dolcezza ed estrema discrezione, altri due irrequieti bambini al suo fianco. Una ragazza alta e longilinea coperta da una lunga veste immacolata scompare con movimenti armoniosi ad ogni genuflessione tra la folla di donne sedute. Un fuscello. Un’anziana signora, inginocchiata, il sedere poggia sui talloni, i palmi rivolti verso l’alto, all’altezza del volto, la schiena dritta, prega sottovoce e instancabile. Di quando in quando si guarda intorno, gli occhi piccoli circondati da rughe, occhi lucidi e attenti. Una ragazza, finita la preghiera apre il Corano e comincia a leggere, la schiena appoggiata al muro, dritta, legge in un sussurro impercettibile, solo le labbra e il dito che scorre sulle pagine si muovono. Il volto teso per la concentrazione, i gesti lenti e tranquilli. Ognuna persa nel contatto con se stessa e Allah, ognuna in una tranquillità imperturbabile, e intorno a loro, caoticamente, chi versa una lacrima, gruppetti di donne che chiacchierano, che si scattano delle foto, bambini che corrono in silenzio, chi cammina sfiorando con le vesti le teste di altre donne in preghiera. Tutte si sfiorano tra loro, incessantemente, i larghi mantelli che frusciano sul pavimento, mantelli costantemente rincalzati sulla fronte.
Negli ultimi anni c’è stato un aumento del traffico di donne e bambini per commercio sessuale o ridotti ai servizi domestici; donne e bambini facenti parte della categoria dei rifugiati, ma non solo.
Donne provenienti dallo Sri Lanka, Indonesia, Filippine, Sierra Leone ed Etiopia sono obbligate ad una servitù involontaria con restrizioni alla libertà di movimento, abuso fisico e/o sessuale.
La Siria combatte questo fenomeno dal 2007 ( presente soprattutto nei paesi del Golfo ma che si sta spandendo in tutto il medio oriente), ma non offre protezione alle vittime del “traffico”, al contrario, molte di esse sono state arrestate, perseguitate o deportate.
Nelle strade donne velate, i lunghi niquab neri che spessi lasciano scoperti solo gli occhi, a loro volta coperti da scuri occhiali da sole.
Testo e foto di Priscilla J. Smith