Testo e foto di Luisa Fazzini
Questo articolo è riprendere a dipanare un filo. Quel filo che parte dal n. 28 di Erodoto 108 https://www.erodoto108.com/raccontare-la-citta-nei-passi-di-gente-che-va-un-omaggio-al-n28/.
Per spiegare in classe una città si comincia dalla definizione, si stabilisce la funzione per concludere con un’analisi diacronica, sincronica e una progettazione per il futuro. E se per capire la città ci chiedessimo anche che cosa non è? A questa domanda ha provato a dare una risposta l’articolo di “Geografica” sul n. 28. E se per capire la città ci chiedessimo anche che cosa fosse prima di diventare tale? A questa domanda provano a rispondere le righe che seguono.
Non voglio sapere dai miei studenti quali costruzioni ci siano in città. Voglio sapere su che cosa le hanno costruite. Sul terreno. Già, ma generico. Per seguire col dito i lineamenti del volto di una città, bisogna guardare a quello che non è città, a quei frammenti più o meno grandi del “prima” che occhieggiano tra le costruzioni o a quelle braccia ampie che appena fuori dal cemento l’abbracciano.
Napoli è un esempio didattico paradigmatico tra mare e rilievi di ciò che c’era prima, perché le città non sono state costruite sul terreno, ma nello spazio della natura.
Il suo mare non è un elemento poetico. E’ la linea di sguardo attraverso cui la città si proietta verso l’infinito riversandovi se stessa fin dove può.
“Il mare di Napoli è invadente, penetra nella vita dei napoletani in modi diversi. Nel bene e nel male. (…) è imprescindibile ed è lo specchio in cui si riflettono sopravvivenza, speranza, passione e paura di un popolo legato a miti antichi (…). A San Giovanni Teduccio il marito della signora Immacolata, fino a qualche anno fa, faceva il pescatore come il nonno e il bisnonno. Per lui il mare significa fatica, sudore e cesti pieni di pesce fresco per sostenere la famiglia di sei figli. Il suo mestiere si identifica con una tradizione storica, che l’insostenibile traffico marittimo e il depuratore dismesso da anni hanno definitivamente sfiancato. Il legno della sua barca abbandonata marcisce sul litorale insieme all’immondizia (…). Tra montagne di rifiuti urbani ai margini degli edifici fatiscenti del quartiere (…) si perde la speranza di immaginare un destino diverso per il mare che bagna Napoli est. – Dania Avallone “Infida bellezza”.
La città è sulla terra e guarda il mare che ne ha condizionato il destino. Ma il mare non è una costruzione antropica destinata al declino.
“Al contrario della terra che sembra arrendersi al suo destino,l ’acqua si muove e dimentica. Cambiano continuamente le correnti, le maree, il vento. Il mare lotta per la sopravvivenza come pescatori ostinati che non cedono e come quei napoletani che lo amano, che lottano per difenderlo dai soprusi e non smettono di esplorarlo sopra e sotto la superficie torbida”.
Gli abitanti della città non posso escludere dallo sguardo la natura in cui sono incuneati.
“Una fortunata minoranza di napoletani ha il privilegio di vedere il mare da casa, ma la maggioranza di esse per guardarlo deve cercare punti strategici della città. Tutti comunque ne percepiscono la presenza dall’areosol del litorale, dalla brezza energizzante del termico, dal fragore delle onde infrante sulle scogliere, dal rumore delle imbarcazioni che lo solcano e dall’olezzo maleodorante degli scarichi fognari”.
L’immaginario di una città riflette la natura che lo circonda:
“Dalle zone alte di Napoli, specialmente nelle giornate invernali di grecale, il golfo appare di una bellezza abbagliante. L’azzurro è più intenso, i contorni nitidi, la luce argentea, il Vesuvio sembra un cono di innocuo velluto. E’ una bellezza oggettiva e infida che anestetizza la mente, oblitera i problemi, allontana da riflessioni negative e da critiche costruttive. Tutto sembra lontano e perfetto. In estate invece la foschia rende i colori più scialbi e soprattutto nei giorni festivi lo specchio di mare ritorna ad essere un problema concreto solcato da centinaia di imbarcazioni private che sembrano impossessarsene e ferirlo con le loro scie bianche”.
E si crea un legame indissolubile, sia che sia presente o assente, ma con cui bisogna sempre fare i conti.
“Nella realtà, questi coreografici bagnanti sono persone che hanno un legame viscerale con il mare e abitudini di vita immutabili. Ma basterebbe allontanarsi dal centro della città verso i ghetti delle periferie abbandonate per rendersi conto che, per un’altra parte dei napoletani sradicati dalle proprie origini, il mare è solo una presenza invisibile rimossa dalla memoria. Le vecchie generazioni lo hanno dimenticato per non averlo mai vissuto. Le nuove generazioni emarginate non conoscono il mare neanche attraverso la scuola (…)”.
Il rapporto con il mare delinea un’analisi diacronica e sincronica della città. Ma anche la sua visione futura.
“Ci vorrebbe una grande spiaggia pubblica, un’unica lunga linea di costa attrezzata per restituire a questa Napoli il mare rubato, per risanare acque oltraggiate, per un balneazione dignitosa per tutti, per sport nautici ecosostenibili e soprattutto per contrastare al criminalità con la forza energetica del mare e ridare speranza alla popolazione offesa”.
Ma Napoli non è solo mare.
“Napoli cresce su se stessa. Rifiuta le geometrie tradizionali. Va in verticale, si arrampica sulle colline, scala pericolosamente il vulcano, si intestardisce in uno sghimbescio groviglio di vicoli” Andrea Semplici “Il guerriero e il santo”
Napoli è Vesuvio. E’ un tutt’uno.
“Non c’è lato di ingresso a Napoli dal quale si possa evitare di vederlo. O, se si vuole, da cui non potersi far scorgere. Massiccio. Inconfondibile, Imponente ma non asfissiante”. Giorgio Cossu “Comm’è bella (e bollente) ‘a muntagna”
Nel dossier “Napoli sospesa” del n. 29 di Erodoto 108 si trovano materiali caleidoscopici, come l’anima di questo luogo, per analizzare una città non attraverso la definizione neutra del libro di testo, ma come essenza unica. Un dossier quello di Erodoto da leggere e da cui pescare a piene mani. Noi qui ne abbiamo fatto solo occhieggiare qualche accenno per proseguire nello snodare quel filo di riflessioni sullo spiegare la città partito con Gente che va nel n. 28.