Nessuno sceglie la famiglia di origine, il legame di attaccamento, il contesto in cui nascere e crescere, i talenti, i limiti. La vita non è determinata da noi, ma la seguiamo e ci adattiamo a quello che ci accade o ci capita, con i nostri strumenti e la nostra sensibilità. Noi tutti portiamo una maschera, facendo vedere al mondo una versione non vera di noi stessi. Ad alcune persone invece, la maschera è stata la stessa società a dargliela, senza il loro consenso e senza conoscerli.

Carlo Pellegrini racconta così il suo progetto fotografico che si affaccia sull’importante tema della disabilità mentale con spontaneità, una spiccata sensibilità e un forte senso di autocritica. Quello dei manicomi e della legge Basaglia promulgata nel 1978 è un argomento già analizzato in passato da molti altri importanti fotografi, ma Pellegrini lavora diversamente, con un linguaggio personale, lontano dal classico reportage e qui si proietta nei meandri della malattia con partecipazione, assolvendo al compito che si è prefissato e calandosi per conto proprio in questi ambienti a lungo.  I protagonisti sono i quadri, i disegni e i ritratti che vengono elaborati dagli utenti de La Tinaia di Firenze, uno spazio di libera attività creativa spazio di libera attività creativa per i degenti dell’ospedale psichiatrico in palese rottura con la logica repressiva della vecchia istituzione maniacale. Il progetto si intitola Due, come le visioni che si fondono in una sola immagine, oppure come le multiple personalità che si celano in ognuno di noi: sta a voi trovare il punto di partenza di ogni singola fotografia per arrivare alla visione chiara e nitida.

E Carlo continua:

Questo lavoro nasce da due necessità. La prima è capire a che punto è la riforma dei manicomi, a quasi 40 anni dalla nascita della cosiddetta Legge Basaglia. La seconda invece, più che una necessità è un appello: Con certi comportamenti nascondiamo le nostre intenzioni e i nostri sentimenti. Noi tutti, me compreso, dobbiamo fare questo sforzo. Toglierci la maschera che portiamo per mostrare a chi ci sta intorno chi siamo realmente.