Proponiamo la versione integrale dell’articolo “Un giardino nel piatto” dell’iranista Felicetta Ferraro pubblicato sul numero 8 di Erodoto108 “Elogio del cibo”.
Testo di Felicetta Ferraro, disegno di Pino Creanza
Una casa alle porte del deserto del Dasht-e-Kavir. I mattoni crudi e le mandorle tritate, la salsa di melograno e l’argilla impastata con il bianco d’uovo, una tazza di noci e le tende di lana. E poi Sakine, la cuoca che prepara il fesenjun alla moda di Baghestan.
Baghestan, il ‘luogo del giardino’, un nome improbabile per un villaggio ai bordi del Dasht-e Kavir, il deserto di sabbia e sterminate distese di cristalli di sale che occupa il centro dell’altopiano iranico. La Via della Seta un tempo passava non molto lontano da qui, oggi a Baghestan si fermano le carovane di turisti dirette a Gonabad, centro spirituale dei dervishi nematollahi, o verso Mashad, la città santa che ospita le spoglie dell’Imam Reza. Ad accoglierli, un ruscello di acqua freschissima e una vallata punteggiata di mandorli e melograni racchiusi in piccoli recinti di mattoni cotti al sole.
A Baghestan, un’amica, che come molti iraniani ha studiato architettura in Italia, ha deciso di costruire alcuni anni fa una casa nel rispetto delle tecniche e dei materiali del luogo: paglia, fango, legno, mattoni crudi, per la costruzione; lana per le tende alle finestre, per i tappeti, per le coloratissime trapunte imbottite; argilla impastata con il bianco d’uovo per i piatti e le tazze decorate con l’ovale tondo e gli occhi allungati di Khorshid Khanom, la ‘signora Sole’ e rami fioriti carichi di melograni vermigli. L’intenzione era quella di accogliere i turisti che decidevano di fermarsi un po’ di più di una breve sosta per il tè, incantati dal fascino di una Persia sognata e amata attraverso versi immortali e miniature delicate come trine.
Una storia breve – il flusso del turismo in Iran avanza e si ritira seguendo capricci mediatici internazionali incomprensibili sotto il cielo terso di Baghestan – ma Sakine, la cuoca che stupiva gli ospiti con una marmellata di bucce di pistacchi introvabile altrove, è riuscita a far conoscere finalmente al di fuori del villaggio la versione locale del più sontuoso dei piatti della cucina iraniana, il fesenjun, un sugo a base di noci e mandorle tritate, cipolle, anitra, curcuma e una salsa di melograno densa, profumata e violacea come la sabbia del deserto al tramonto.
La delizia del fesenjun di Baghestan
Il fesenjun è un piatto originario delle foreste umide del Gilan. Là si prepara con noci tritate. Le mandorle sono una caratteristica di questo villaggio. E’ un cibo di ‘rappresentanza’, si prepara quando si vuole fare una bella figura con gli ospiti.
500 gr. di anatra (o pollo) a pezzi,1 cipolla,1 tazze di noci e 1 tazza di mandorle tritate,1 tazza di salsa di melograno, 4 tazze di acqua, un cucchiaio piccolo di concentrato di pomodoro, 1 cucchiaino di curcuma, 2-3 cc olio, sale, pepe.
Dorare le cipolle in un tegame e aggiungere la curcuma. Dopo un paio di minuti aggiungere la carne e rosolarla. Salare e pepare qb. Unire il concentrato di pomodoro e un po’ d’acqua e far cuocere. Nel frattempo far tostare in una padella antiaderente le noci e le mandorle tritate, rigirando in continuazione per non farle bruciare. Unirvi quindi una quantità doppia di acqua e far cuocere, mescolando spesso. Quando si vedrà affiorare l’olio, versare il tutto nella carne. Far cuocere insieme per un po’ e poi aggiungere la salsa di melograno. Far restringere e servire con il riso cotto al vapore.