Un giorno ho ricevuto una telefonata a nome di Ettore che all’epoca non conoscevo di persona. Mi chiedevano se ero disposto a lavorare come fotografo “ritrattista” sul set del suo nuovo film “La Famiglia”. Credevo fosse uno scherzo di amici burloni e invece era tutto vero. Ho passato tre mesi a Cinecittà ed è stata una grande esperienza! Dovevo ricostruire quello che sarebbe stato l’album di questa famiglia borghese nei vari momenti, dal 1906 al 1986 e lo stile doveva essere quello dell’epoca, nella qualità, nel tono delle stampe e nei vari formati. Ettore è una persona molto attenta e rigorosa in questo senso. Ne ho ancora un ricordo decisamente bello e affettuoso. Il ritratto è scattato in un momento di pausa nel corridoio dell’appartamento dove tutto il film si svolge mentre lui sta scherzando, seduto sull’automobilina dei bambini, in attesa che inizi la serie di riprese del giorno. È davvero un grande regista, un intellettuale raffinato e una persona di gran classe.

Maurizio Berlincioni, fotografo

TREVICO-TREVICO. E UNA ‘NATRICOLA.

testo di Silvia La Ferrara

Se avessi visto questa foto di Ettore forse ci sarei andata a casa sua il giorno che mio padre me lo propose. Era il tempo delle medie e papà e zio Euplio avevano combinato un incontro per i loro figli con il compaesano famoso regista, ma io ho detto di no e me ne sono stata a casa. Così adesso c’è questa foto di Ettore a cavallo della macchinina dei bambini, scattata a Roma da Maurizio Berlincioni in una pausa della lavorazione de La Famiglia nel 1986 e c’è anche una foto più vecchia, con mio fratello Gianni in maglietta a righe e le mie due cugine Linda e Simona insieme a Ettore, nella casa della madre, donna Flora, a Trevico, tutti e quattro felici e sorridenti nell’estate del gran rifiuto, 1980 o 81. E in quella foto non ci sono io.

gli_altri

Il punto è che a me questa storia del mito di Scola mi scocciava. Non capivo perché Trevico doveva vantarsi del fatto che c’era nato lui. Trevico era Trevico. Il mio paese bellissimo amatissimo, con o senza Scola. E poi a me piaceva il fratello. Ettore ha un fratello, il dottor Pietro, medico e all’epoca grande passeggiatore con cardellino. Girava il paese nei giorni della festa di Sant’Euplio, ad agosto, vestito di bianco con un panama elegante in testa e in mano teneva una gabbietta con un uccellino giallino che mia zia Manuela, maestra, assicurava essere un cardellino. Il dottor Pietro era magro, con il pizzetto o la barbetta mi pare, e sorrideva un po’. Pensavo che lui sì era un personaggio interessante, chissà cosa faceva con il cardellino una volta rientrato, se lo metteva in una gabbia più grande, in una voliera o se addirittura lo lasciava libero nella casa con le finestre sul Vulture che ora è stata donata al Comune che ci ha fatto un centro culturale. Quando oggi vado a Casa Scola delle volte mi chiedo che ne è stato del cardellino.

Adesso so che in quell’inizio di anni Ottanta Ettore aveva già girato Trevico-Torino dove Trevico non si vede per niente, anche se il nome del protagonista, Fortunato, ce l’aveva uno del paese che abitava proprio a Vico Scola. E anche i miei zii, pure la zia maestra, erano emigrati a Torino, ma per fortuna non lavoravano in fabbrica. Il film lo vidi all’Università, a Bologna, nel 1986-87 e pensai che era meglio se non raccontavo in giro che non avevo voluto conoscere il grande regista. E proprio mentre stavo a Bologna a compiangermi guardando Trevico-Torino, Maurizio Berlincioni stava a Roma sul set, a ricostruire l’album della famiglia borghese, emozionatissimo per l’incontro con Ettore e conquistato dal suo modo di lavorare attento e rigoroso. Infine, nell’estate dell’87, La Famiglia era stato proiettato a Trevico, nella piazzetta di San Rocco, sul telone tirato sopra il muro della chiesina bianca e ci ero andata con la sedia portata da casa come tutti. Nel mio ricordo c’era anche Ettore, ma c’era davvero o è solo una specie di riparazione?

natricolaIl fratello di mia nonna, Mast’ Peppe lu Spaccone, faceva il falegname e aveva fondato il Partito Socialista a Trevico. Un unico iscritto, lui. La sua bottega stava davanti a Vico Scola. E Zi’ Peppe raccontava che un giorno d’estate entra Don Ettore, come lo chiamava per l’ascendenza nobiliare, e gli chiede di fargli una bussola, cioè una porta interna nuova. Come la vuole e come non la vuole, parlano un po’ e Mast’ Peppe tira fuori diverse maniglie, serrature, chiavi. Però Don Ettore non le vuole. “E che vuoi allora?” gli chiede lu Spaccone. Ettore vuole ‘a ‘natricola. Così si chiudevano una volta le porte a Trevico e lui vuole una vecchia porta trevicana chiusa con la ‘natricola, un tassello di legno sagomato che, fissato con un chiodo, ruota per bloccare l’apertura. Si chiama così forse per la forma, che ricorda una piccola anatra e qualche settimana fa il maestro Salvatore Di Vilio ha fotografato a Zungoli, a pochi chilometri da Trevico, proprio una vecchia porta con cuori intagliati e sigillo di ‘natricola. Di Vilio è un fotografo bravissimo e se ne va in giro per l’alta Irpinia con l’allegro gruppo della Casa della Paesologia, un’associazione di più di 150 persone di ogni parte d’Italia che leggono Franco Arminio, si sono invaghite delle aree interne e si sono fittate una casa proprio a Trevico. Che ha iniziato a essere un posto di ritorni, oltre che di partenze.

Partenze per il Nord, l’America, la Germania e partenze per sempre, come quella di Mast’ Peppe Rinaldi, morto nel gennaio appena passato, a 98 anni. Mast’ Peppe, che fece la ‘natricola per Don Ettore, venuto da Cinecittà a Trevico. Don Ettore andato via a tre anni per tornare solo qualche volta d’estate così che forse, come molti di noi, del paese ha solo ricordi nei quali l’aria è fresca e piacevole e il cielo azzurro e le persone portano abiti leggeri e panama, passeggiano per le vie e la sera si guardano un film all’aperto. Trevico invece è freddissimo per molti mesi all’anno e se ne sta a prendere il vento gelido con i suoi oltre 1000 metri di montagna mentre siamo andati tutti via, a Roma, a Torino, a Bologna, a fare il progresso e la nuova società, tutti un po’ cardellini che si fanno portare in giro a cinguettare dentro alle gabbie.

Però forse lo sapeva Ettore, lo sa, che è una partenza che ci riporta lassù prima o poi, a cercare anche solo una ‘natricola per la porta, perché, come dice Antonio di C’eravamo tanto amati, “abbiamo sottovalutato un sacco di fattori che hanno concorso a mettercelo nel chiccherone”.

 

La foto di Ettore con i ragazzini è di Mario Garofano.

La foto della porta con la ‘natricola è di Salvatore Di Vilio.