Viaggiando si scrive. Si prende spunto. Cartoline? Forse. Testo e foto di Tommaso Chimenti
I piedi che diventano casa. Non può essere che una città di mare, sempre liquida, sempre in perenne movimento a ondeggiare e basculare, la carena che oscilla, gli schizzi, la velocità da solcare. I piedi sono una ricchezza, non danno punti di riferimento, o ballano il tip tap o aspettano nervosi, o calciano una palla o corrono sull’asfalto, tra le viuzze nere e buie coperte di disegni e graffiti e poesie urbane. Se i tuoi piedi sono dove abiti, allora la tua casa sei tu, ed è un bell’augurio di solidità, di fondamenta, di spessore, dell’avere un passato e di procedere verso un futuro: “Il piede umano è un’opera d’arte e un capolavoro di ingegneria”, diceva Michelangelo Buonarroti.
I piedi come radici per abbeverarsi e rinfrescarsi di nuovi panorami e orizzonti, i piedi per andare sempre un po’ più lontano da quello che eri ieri, piedi per il moonwalk o per pestare l’uva. A Genova sembra che i piedi possano anche non servirti con tutta quella distesa blu davanti agli occhi. Ma le case s’inerpicano, salgono, s’arrampicano sulla collina. “Ci vogliono scarpe buone, a trascinare le nostre suole da una terra che ci odia a un’altra che non ci vuole”, ha cantato uno che di Genova se ne intende.