La libertà di stampa ha avuto quest’anno una serie di attacchi in tutto il mondo. Reporter Without Borders monitora 180 paesi nel mondo e in due terzi di questi la situazione è peggiorata. L’analisi di RSF viene fatta prendendo in considerazioni numerosi fattori: pluralismo, indipendenza dei media, qualità del contesto legislativo, sicurezza per i giornalisti. Ma la nota più dolente di questo quadro di erosione della libertà di stampa sta nel processo di riduzione degli standard nei paesi democratici. Gli Stati Uniti, ad esempio, perdono due esposizioni rispetto alla graduatoria dello scorso anno e sono al 43° posto su 180. Il Canada ha perso 4 posizioni a causa della sorveglianza a cui sono sottoposti una serie di giornalisti in Quebec. I dati sono stati presentati il 26 aprile alla sede del Washington Post.
Tra i primi dieci paesi ci sono quelli del Nord Europa (Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca) e al sesto posto sbuca un imprevisto Costa Rica seguito dalla Svizzera, Giamaica, Belgio e Islanda. L’Italia è 52° (ha recuperato 25 posizioni rispetto allo scorso anno) ma mafia e fondamentalismo islamico minacciano la vita di sei giornalisti italiani e il livello di aggressività, anche verbale, intimidazione e minaccia è allarmante.
La Turchia è al 155° posto (in discesa di 4 posizioni): dal fallito colpo di Stato del 2016 il governo di Erdogan ha usato lo scudo della lotta al terrorismo per portare avanti una purga mediatica senza precedenti. Dozzine di giornalisti sono stati arrestati senza giudizio trasformando la Turchia nella più grande prigione per giornalisti del mondo. La Cina è fermamente stabile al 176° posto: giornalisti incarcerati 100 ma soprattutto una pianificazione politica di una egemonia del controllo di stato sulle informazioni che riguardano il governo Xi Jinping.
Laos, Guinea Equatoriale, Djibouti, Cuba, Sudan, Vietnam, Cina, Siria, Turkmenistan, Eritrea e Nord Corea sono i paesi di coda di questa graduatoria che ci ricorda come l’impegno per la libertà di stampa non è un esercizio di contabilità ma un repertorio di storie di vita che allontanano questi paesi da percorsi di rappresentatività dei diritti dei cittadini dei vari stati.
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