Testo di Letizia Sgalambro | Foto gentilmente concesse da Studio Dani Karavan, Tel Aviv
Ci sono a volte degli avvenimenti che ti segnano per tutta la vita senza che neanche tu te ne renda conto. Non parlo di traumi o eventi plateali, sono piccole cose, frasi, suoni, odori, che come semi, una volta entrati dentro fioriscono e crescono con noi.
Gli ulivi saranno i nostri confini.
Nel Giugno 1978 non ero ancora maggiorenne. Ricordo che andai alla mostra di Dani Karavan al Forte Belvedere Two Environment for peace completamente ignara di cosa stessi andando a vedere, a ripensarci adesso la mia ignoranza sia sull’architettura che sui temi relativi al conflitto Israele Palestinese era veramente vergognosa.
Ma accadde un miracolo. Era il primo giorno di esposizione e i custodi delle diverse stanze si decisero di presentare la mostra gli uni agli altri; probabilmente ognuno aveva avuto l’informazione solo per i propri spazi senza averne un’idea generale, e colmarono quel gap con una visita autogestita. Io e il mio fidanzato dell’epoca ci trovammo nel mezzo a questo tour e quindi potemmo acquisire le conoscenze necessarie per apprezzare tutta l’esposizione.
Ricordo poco di quello che c’era, ma una frase scritta da qualche parte mi è rimasta impressa e mi rendo conto adesso che mi ha guidato in tutti gli anni a venire: Gli ulivi saranno i nostri confini.
Forse non l’avevo neanche capita, ma certamente mi ha condizionato l’anno successivo nella scelta dell’argomento della tesina di storia dove andai ad approfondire la storia del popolo ebraico. E forse anche anni dopo, ai tempi della prima intifada, quando aderii a un progetto di adozione a distanza. O quando sono andata più volte a Ramallah e Gerusalemme cercando di parlare con più persone possibile per riuscire a capire le ragioni di due popoli.
Gli ulivi saranno i nostri confini.
Niente pietre, fili spinati, cemento, ma ulivi, il simbolo della pace. Quella pace che Karavan in tutta la sua vita ha cercato di favorire, soprattutto in patria. L’ulivo fa passare la luce tra i suoi rami, non chiude alla vista, non separa del tutto. L’ulivo ricorda la terra, il radicamento, il nutrimento. L’ulivo non ha appartenenze, è di chiunque lo pianta, lo cura, lo coltiva, e sa raccoglierne il frutto. Già nella Bibbia, nel libro di Isaia è scritto Trasformeranno le loro spade in aratri e le lance in falci. Le nazioni non saranno più in lotta tra loro e cesseranno di prepararsi alla guerra.
Karavan ha utilizzato l’ulivo in diverse sue opere, l’ulivo è simbolo di unione come le falci e gli aratri usati al posto delle lance e delle spade.
Gli ulivi saranno i nostri confini. Utopia? In questo momento più che mai sembra proprio di sì. Ma è un’utopia che non ci deve lasciare fermi, è un’utopia contro cui lottare, in qualsiasi modo creativo si riesca a farlo.
Dani Karavan ha speso la sua vita per questo scopo. Nato a Tel Aviv, ha studiato pittura a Firenze e a Parigi, ha lavorato come scenografo e come scultore per arrivare poi a lavorare su arte e ambiente, adattando le sue opere agli spazi in cui sarebbero state esposte, in un dialogo che ricercava anche negli esseri umani, per arrivare a comprendersi e a superare i conflitti. Ha esposto in tutto il mondo ed ha ricevuto innumerevoli premi.
È stato uno dei fondatori del movimento pacifista israeliano e ha dedicato la sua vita e il suo lavoro a realizzare opere che parlassero di pace ai più e li incitassero all’azione.
Si è spento a Tel Aviv il 29 Maggio 2021.
Addio Dani, mi piace pensare che dovunque tu sia adesso tu continui a pensare a come riunire le persone invece che dividerle.