Testo di Emiliano Bonadio
Foto di Alessandro Rampazzo
È una ragazza bionda, meno di quanto immagini, naso sottile e zigomi pronunciati che ti chiede cosa ci fai a Helsinki; con un’uscita d’impeto, a metà tra la birra trangugiata e la natura di pescatore. Ti chiedi cosa faccia nella vita, se le piaccia il sole e il vento tra i capelli. Sfoggia un berretto nero, arrotolato come un hipster.
Helsinki è anche Supermario alla cassa dell’aeroporto. Lineamenti sudamericano, sa più inglese di me.
È Carmen dietro il bancone del bistrot di un supermercato dove una residente russa di lunga data ci assicura che fanno la miglior zuppa di salmone della città. Digerito lo strazio di nutrirsi in un centro commerciale, c’è da crederci. E la mangi, bollente, per ristorarti dal vento, tra tatuati che cucinano a vista e annunci all’altoparlante in una lingua che rimane indecifrabile.
Helsinki è freddo e buio, tiepido e luce. Comunque, umido. Sulla pelle, riflesso nella luce dei lampioni. È vento, che ti coglie all’improvviso all’angolo del palazzo o ti spinge o ti frena, in riva al porto.
Helsinki ha la durata di un tuffo notturno nel mare dolce ghiacciato, fuori da una sauna autogestita, sotto la pioggia, col vento sferzante. La sauna è di tutti, il mare e il bosco che la ospitano uno spazio comune. Da rispettare e cui contribuire. Che ristora e riconcilia, che motiva e asciuga la vita macchiata da pioggia e freddo. È ritrovare, in questo tipico gesto tutto ciò che si è visto e vissuto nei giorni di cammino, tra palazzi novecenteschi in stile nordico e una contemporaneità arrivata quasi all’improvviso, da ricca e garbata capitale di servizi.
Quell’ordine e condivisione ordinata e rispettosa che tutti noi latini ammiriamo con soggezione e non possiamo rispettare.