testo e foto di Damiano Fedeli
Quando ha chiuso bottega nel pomeriggio di San Silvestro aveva gli occhi lucidi. Dopo settant’anni ininterrotti non l’avrebbe più riaperta, passata la festa del giorno successivo. Giuliano Tozzi, il barbiere di Borgunto, quartiere di Fiesole, sulla collina fiorentina, con il 2019 ha cessato la sua attività. Aveva cominciato che era un ragazzino, visto che di anni ora ne ha 84. E per sette decenni è diventato il simbolo stesso di Borgunto, questa parte di Fiesole che rivendica orgogliosa la sua differenza dal centro sentito come snob (“quelli di piazza”, come li chiamano qua). Ecco perché la sua chiusura non è la semplice conclusione di un’attività economica, ma è la fine di un punto di riferimento per un’intera comunità. Quello che i sociologi chiamerebbero un “terzo luogo” (i primi due sono casa e lavoro), un posto dove ci si sente partecipi di una collettività, una casa fuori casa.
Sulle sedie di Giuliano si sedevano, infatti, non solo i clienti in attesa, ma tutto il borgo, per scambiare due chiacchiere, fare il punto sulla politica, il calcio o, più semplicemente, sulle vicende di Borgunto, tirando qualche moccolo fantasioso. Uno scambio fra avvocati e muratori, piloti di aereo e macellai, professionisti in cravatta e carbonai. Senza distinzione di professione o di conto in banca. Cacciatori e cercatori di funghi, giramondo, perdigiorno o donnaioli.
Personaggi quasi leggendari che parlavano di personaggi dai soprannomi altrettanto mitologici: Ringo, i’ Furia, Capello. Mi hanno sempre affascinato quelle storie di paese, anche se molte volte manco sapevo di chi si parlasse. Mi hanno intrigato fin da quando ero bambino e Giuliano, sempre inappuntabile nella sua casacca bianca o verde chirurgo, tirava fuori dal retrobottega il seggiolino rialzato e due o tre numeri di Topolino che teneva apposta per i più piccoli.
Da quando l’ho frequentato, quarantacinque anni fa, non è mai cambiato niente in quella minuscola bottega. Le poltrone in similpelle rossa (prima erano verdi: il cambio di rivestimento fu a suo modo un evento), le luci al neon, il grande specchio con l’adesivo “Ignoranza Borgunto”, i dopobarba con la peretta, la stufa con la bombola a gas. Oltre al cambio di colore delle poltrone, l’altro momento epocale fu l’arrivo della televisione, quasi sempre sintonizzata su Rai Tre o sui grandi eventi sportivi come i mondiali di calcio o il Giro d’Italia. Quell’apparecchio sostituì la gloriosa radio, a sua volta bloccata per anni su Lady Radio.
E, ancora, il poster incorniciato con la nazionale campione del mondo 1982 e la foto del Fiesole Calcio, squadra che teneva i suoi trofei su una mensola proprio nella bottega di “Tozzi Giuliano”, come si legge nel burocratico tariffario dove non era difficile scorgere i prezzi in lire, appena sbianchettati sotto quelli aggiornati, ma non troppo. Erano rimaste fuori tempo anche le tariffe, infatti: 9 euro per un taglio di capelli, 5 per una barba. Poco importa se i tagli non erano particolarmente alla moda e se Giuliano, tutto proteso a vedere chi passava per strada, finisse talvolta per rasarti la parte destra della testa vistosamente più corta della sinistra. Una volta si fermò persino una donna a farsi tagliare i capelli qui. La bottega si svuotò; evidentemente gli avventori ritenevano brutto rimanere lì a parlare di donne alle spalle, letteralmente, di una signora. Qualcuno, però, andò a prendere la macchina fotografica e immortalò lo storico momento: Giuliano per una volta coiffeur pour dames. Anche quella foto è rimasta a lungo sullo specchio.
Non si poteva prenotare dal barbiere di Borgunto: si rispettava il rigoroso ordine d’arrivo. Se tante volte qualcuno si soffermava con la macchina e dal vetro gli diceva “Vado a parcheggiare: mi tieni il posto?”, Giuliano andava in ansia, allargando le braccia: “Per ora è tuo, ma se arriva qualcuno bisogna che lo faccia passare”. Fa niente se quello che doveva parcheggiare ci metteva tre minuti: se arrivava qualcuno nel frattempo, passava avanti.
Chiude Giuliano, lontano anni luce dai barbieri fighetti e hipster che vanno di moda adesso. Il suo era un mondo fatto di crema da barba alla mandorla, di schedine del Totocalcio o del Lotto usate per buttare via la schiuma (ne aveva anche nell’ultimo di giorno di apertura, quando mi sono fatto fare per l’ultima volta la barba), di chiacchiere appassionate e di gran prese di giro di tutta Borgunto a lui che, inspiegabilmente, era juventino, costretto a subire tutte le goliardie di rito in caso di vittorie della Fiorentina con i bianconeri. Giuliano era (è!) Borgunto perché non c’era persona che passasse o semplicemente si affacciasse in bottega per cui lui non avesse una parola appassionata. Per andare a giocare al campino, i bimbi venivano a chiedergli un pallone di cuoio che lui teneva in bottega solo per loro. Passava un funerale per strada e lui ti mollava mezzo insaponato o con mezzi capelli fatti, si precipitava allo sportello nascosto dietro la foto del Fiesole calcio, lo apriva, staccava l’interruttore generale della corrente, faceva rispettosamente buio e silenzio in bottega, per poi riattaccare tutto appena passato il corteo funebre. “Fosse per me – dice oggi – terrei ancora aperto, ma c’è troppa burocrazia, troppi adempimenti da seguire e non ce la faccio più”. Giuliano è chiuso e con lui chiude anche Borgunto.