di Ruggero Da Ros e Paola Penzo

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Non capita spesso di stravolgere un programma di viaggio per seguire un festival, ma quello di Douz profumava di curiosità fin dall’inizio. Così, arrivati a Tunisi e scoperto che il festival era appena cominciato, siamo saliti sul primo treno per il sud, facendo tappa solo ad El Jem, l’antica città romana con un grande anfiteatro che emerge dal deserto, disseminata di mosaici e ville patrizie. Per coprire l’ultimo tratto dei 500 km che separano il festival dalla capitale saliamo su un taxi collettivo, il louage, che percorrendo una strada a tratti insabbiata ci porta a Douz, l’ultima grande oasi prima del deserto sahariano, chiamata per questo “la porta del deserto”. Finalmente siamo al sole e al caldo, il nord della Tunisia non è poi così clemente d’inverno.

Vista l’importanza dell’evento e le piccole dimensioni della cittadina, pensiamo di aver problemi a trovare una camera, invece ci sistemiamo facilmente vicino alla piazza centrale, in una pensioncina dal bianco accecante piena di bouganville infreddolite che pendono dalle terrazze. Il villaggio è in fermento: turisti locali e stranieri si accalcano per le strade, la musica è assordante, ci sono saltimbanchi, venditori, calessi trainati da cavalli o dromedari, fumi dei kebab lungo i marciapiedi e tanta bella gente.

Tutto si prepara per il pomeriggio quando tre chilometri più a sud, nel “cammellodromo”, oltre 15 mila persone si raduneranno per assistere al “Festival du Sahara”, una manifestazione folcloristica che si tiene ogni anno alla fine di dicembre e dura quattro giorni. L’evento si svolge come una sorta di olimpiade del deserto, dove si tengono corse di cavalli e dromedari, battute di caccia con levrieri saluki e cavalieri beduini che simulano battaglie, sfidandosi a colpi di fucile. E’ una manifestazione internazionale a cui partecipano artisti provenienti da tutti gli stati vicini: Algeria, Egitto, Libia, Marocco; il più grande evento del genere di tutto il Sahara.

Per andare dal centro di Douz all’area del festival si passa attraverso un enorme palmeto dove si producono i Deglet Noor, “dita della luce”, datteri esportati in tutto il mondo che hanno permesso lo sviluppo della città da quando, a fine Ottocento, i francesi la crearono come avamposto del dodicesimo (douzième) battaglione francese, da cui prese il nome. Arrivarci a piedi è come arrivare allo stadio prima di una partita di calcio: moto a tutta velocità, auto che strombazzano, camion con il cassone pieno di gente che canta e sventola bandiere, calessi pieni di turisti e auto con radio a tutto volume. Ci viene offerto un passaggio su un furgone che sta trasportando la banda musicale, saliamo e iniziano a suonare per noi, regalandoci un ingresso trionfale.

Le tribune in cemento costruite appositamente per questo evento sono già stracolme di gente. Lo spazio per gli spettacoli non è chiuso, ma si perde a vista d’occhio sulle dune, dove alcuni berberi stanno scaldando i loro cammelli ad una sola gobba facendoli galoppare avanti e indietro: sono dromedari mehari, altissimi e particolarmente adatti alla corsa, la loro groppa supera di un metro quella dei cavalli. E’ impressionante quanto veloci possano correre e con quale eleganza riescano ad incrociare le loro lunghe gambe. Tutt’intorno ci sono gli accampamenti provvisori dei beduini realizzati con le caratteristiche tende scure (douar) chiuse sui tre lati; mentre gli uomini sono impiegati nelle gare, le donne cucinano il cibo accendendo il fuoco dentro una buca scavata nella sabbia.

Intanto davanti alle tribune lo spettacolo continua. Due dromedari lottano tra di loro, costretti ad un incontro simile alla “lotta delle reine”, ingaggiata dalle mucche nelle nostre Alpi. Si vede chiaramente che lo fanno solo perché costretti, senza nessuna intenzione a farsi del male, riuscendo a non perdere la loro grazia nemmeno durante la lotta. Poi iniziano gli spettacoli circensi: due cavalieri cavalcano il loro animale stando sulle braccia e con le gambe rivolte in alto, mentre altri salgono e scendono dalla sella durante il galoppo. La parte più macabra di tutto il festival è indubbiamente la caccia al coniglio con i cani addestrati. Il povero animale è riuscito persino a rifugiarsi in mezzo al pubblico, dopo aver dribblato i cani in modo intelligente ed esser passato sotto la loro pancia. Ma alla sorte non si sfugge, catturato e riportato in mezzo al piazzale, il coniglio viene finito dai suoi avventori con grande ovazione del pubblico.

A Douz non c’è solo il festival. Ogni giovedì si tiene il mercato degli animali: dromedari, cavalli, asini, capre e montoni vengono analizzati nei minimi particolari dai probabili compratori: li accarezzano, controllano i denti e gli zoccoli, si agitano nelle contrattazioni. Nel suq le bancarelle espongono tappeti, bournous (la caratteristica tunica usata dagli uomini per ripararsi dal freddo), babbucce in pelle di capra o cammello, ghirbe per l’acqua fabbricate con pelli di capra, giocattoli e monili caratteristici della tradizione berbera, come quelli che le donne indossano il giorno del matrimonio oppure durante le feste importanti.

Finito lo spettacolo, prima di rientrare, ci inoltriamo nel deserto per aspettare il tramonto seduti sulle dune. Il sole scende lentamente dietro una palma solitaria diventando una grande palla rossa che incendia tutta la sabbia, mentre in lontananza si vedono le sagome delle carovane di cammelli che stanno rientrando. Una bella poesia di fine anno.

Nel 2013 il festival si è svolto dal 26 al 29 dicembre. Per informazioni sulle prossime date si visiti il sito ufficiale www.festivaldouz.org.tn , oppure si scriva direttamente a festivaldouz@gmail.com , (tel: 0021675471920). A Milano si può contattare l’Ente Tunisino per il Turismo, tel 02 86453026, www.tunisiaturismo.it .

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