Testo di Andrea Semplici/foto di Alessio Duranti
«La memoria ti costringe a fermarti. Ti interroga. Ti chiede: “Ma tu cosa avresti fatto?”». Dobbiamo ricordare perché non avvenga di nuovo. Cosa avremmo fatto, noi, quando gli ebrei, i rom, gli omosessuali, i disertori, i diversi sparivano nei treni verso la Germania nazista?
A Firenze c’è (però leggo che è ‘temporaneamente chiuso’) un Memoriale.
Il Memoriale di Auschwitz. E’ in un quartiere della prima periferia, a Gavinana, là dove si trovava una antica fabbrica metalmeccanica. Dove è stato ricostruito, mi dicono, il block 21, il blocco dove, nella Polonia occupata dai nazisti, furono rinchiusi e uccisi i deportati italiani.
Per accedere alla ricostruzione del Blocco si deve percorrere, attraverso una lunga passerella, una sorta di tunnel-spirale: verrete avvolti da ventitré pannelli di tela che raccontano la storia dell’Italia dagli anni bui del fascismo alla Resistenza contro la tirannia. Queste tele furono dipinte, alla fine degli anni ’70, da Mario Samonà che seguì, con la pittura, parole di Primo Levi. I vostri passi erano (e lo saranno di nuovo) accompagnati dalla musica composta, per questa installazione, da Luigi Nono. Non si esce immuni da questo tunnel. Dal 1980, per dieci anni, ha accolto i visitatori del campo di sterminio di Auschwitz.
Dieci anni dopo, nel 1990, la nuova Polonia, insorta contro il dominio sovietico, volle cancellare tutti i simboli del comunismo. E Samonà, in questa grande opera, aveva raffigurato la bella capigliatura ribelle di Antonio Gramsci e l’orgoglio della Falce e Martello: appartengono alla storia della Resistenza al fascismo. Il governo polacco non sentì ragioni e chiuse l’installazione voluta dall’associazione dei deportati italiani. Oltre vent’anni di silenzio, nessuno poteva percorrere più quella galleria. Nel 2014, la Polonia è un Paese governato da destre nere e non volevano più avere quel monumento: «Se gli italiani ci tengono che vengano a riprenderselo».
E, storia tenace, gli italiani sono stati davvero capaci di riportare il Memoriale a casa. I figli dei deportati italiani convincono ministri, la Regione Toscana e il Comune di Firenze; intervengono la Cassa di Risparmio di Firenze e la Unicoop toscana; si affida il salvataggio del Memoriale alla bravura dei restauratori della Cooperativa Archeologia. Sovrintende l’impresa l’Opificio delle Pietre Dure del capoluogo toscano. L’Italia è capace di Memoria. «E’ il più grande restauro di arte contemporanea mai realizzato», dice Marco Ciatti, direttore dell’Opificio. Un’opera grande oltre cinquecento metri quadrati. «Un lavoro straordinario», conferma Laura Franci, direttrice tecnica della Cooperativa Archeologia.
Andai a vedere questo Memoriale durante i complessi lavori di restauro. Avvenivano in un capannone, dalle cento finestre luminose, a un passo dall’aeroporto fiorentino, dove, per mesi e mesi, i restauratori hanno lavorato attorno alle tele infinite della lunga spirale. Gli occhi di Gramsci avevano ritrovato ii suoi colori, i colori della insurrezione finale contro il fascismo, i colori del 25 aprile, erano luminosi contro il nero degli anni della dittatura. Un bel lavoro.
Nel tunnel dovrebbe risuonare di nuovo la musica di Luigi Nono: «Ricorda cosa ti hanno fatto ad Auschiwtz». E ci sono le parole di Primo Levi: «Fa che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia stata inutile la nostra morte». E ancora: «Da qualunque paese tu provenga, tu non sei un estraneo…».
Per una volta spero che il web si sbagli e che questo memoriale possa essere visitato. In questi giorni così importanti. In questi giorni veniamo presi da sconforto e rabbia: per gli uomini e le donne che muoiono in Ucraina, per i palestinesi che muoiono a Jenin, per i ragazzi e le ragazze che muoiono a Tehran, per i contadini che muoiono sulle Ande Peruviane. …
Abbiamo molto da fare.
(questo articolo è stato scritto per ‘Il Messaggero di Sant’Antonio’ tre anni fa, quando il Memoriale era in restauro. Mi è sembrato che raffigurasse bene la tenacia della memoria)