Testo e foto di Donatella Calati Boccazzi

Onde su onde su onde fino all’orizzonte.

Ci muoviamo veloci nell’avvallamento tra un’onda e l’altra, risaliamo lentamente fino alla cresta per tuffarci in una discesa vertiginosa. Non è un surf che ci trascina, non è l’azzurro nelle tante sfumature dal turchese al cobalto a circondarci. Piuttosto il beige con le sue tonalità dal giallo polenta sul versante illuminato dal sole all’ocra bruna delle zone in ombra. E’ il Great Sand Sea egiziano, angolo di Sahara lontano dal Nilo e dalle oasi, vicino al confine libico.

E a confondere maggiormente le idee, queste dune che si allungano dolci in cordoni lunghi decine di chilometri, prendono il nome di “dorsi di balena”

Non ci sembra quindi troppo strano veder “galleggiare” in questo mare la classica bottiglia, brillante sotto i raggi del sole che la rendono visibile in lontananza. All’interno un bigliettino che quasi ci si sbriciola in mano, corroso dalla sabbia che riempie la bottiglia, una data, 17 dicembre 1934 – quasi esattamente 50 anni fa – e tre nomi, Clayton, Spencer, Little.
Tre nomi che raccontano una storia che conosciamo bene.

Se ci siamo avventurati in questa zona così remota del Sahara è stato proprio dopo aver studiato le relazioni di viaggio di questi tre esploratori inglesi, soprattutto le mappe di Patrick A. Clayton sono state fondamentali per preparare l’itinerario. Clayton ha pattugliato la regione negli anni ’20 e ’30 per conto del Egyptian Desert Survey e del Intelligence Corps inglese poi, mentre poco più a ovest gli italiani prendevano possesso della Cirenaica fino all’oasi di Cufra.

La sua perfetta conoscenza del terreno diventa strategica alla vigilia della guerra e Clayton entra a far parte del Long Range Desert Group. Nel gennaio 1941 guida una pattuglia inglese all’attacco di Cufra ma prima di raggiungere l’oasi si imbatte in una colonna italiana. Nella battaglia Clayton viene ferito, fatto prigioniero e trasportato in Abruzzo, dove incontra la spia ungherese Lazlo Almasy, anch’egli gravemente ferito. Queste vicende diventeranno cinquant’anni dopo un episodio del romanzo Il Paziente inglese.

Sparpagliate tra le dune latte metalliche annerite dal sole, le famose “tin” che contenevano carburante e venivano abbandonate una volta vuote per alleggerire le auto, scatolette di sardine e un bellissimo recipiente di ceramica per il whisky, indispensabile compagno delle serate. E’ l’accampamento che Clayton ha descritto nei suoi resoconti. Ci emoziona passeggiare tra queste tracce di vita e stasera Clayton e i suoi amici ci terranno compagnia al nostro tavolino da campo mentre ci mangiamo una scatola di sardine e brindiamo con un bicchierino di whisky. Dopotutto poco è cambiato in cinquant’anni. Ci sforziamo di lasciare minori tracce del nostro passaggio ma non resistiamo all’idea di lasciare una bottiglia e un bigliettino.

“Quella” bottiglia ritorna in Inghilterra, nelle mani dell’emozionato e stupefatto figlio di Clayton. Ed è a lui che dobbiamo la foto che ci riporta in quel campo del 17 dicembre 1934.
Il cerchio si chiude. O forse si chiuderà definitivamente fra 15 anni se qualcuno busserà alla mia porta con la “nostra” bottiglia.