Potrebbero avere venti, quaranta, cent’anni. I coniugi He, genitori del marito della nostra amica emigrata in Italia.
Dopo un lungo viaggio in un taxi sgangherato, arrancante sui tornanti di queste colline avvolte da un caldo umido insopportabile, arriviamo a destinazione. Un piccolo villaggio nella provincia di Zhejiang.
Il caldo è insopportabile. E sono solo le 10 del mattino. Ci accolgono, i coniugi He, con piccoli sorrisi indaffarati.
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Siamo alte, abbiamo gli occhi incredibilmente grandi, e strani capelli intrecciati e volteggianti. Ci osservano per pochi secondi, abbassano lo sguardo, timidamente, e ci invitano a tavola. Il signore e la signore He hanno preparato un pasto memorabile per i loro ospiti stranieri. Ma loro non siedono a tavola, digiunano. E aspettano. Aspettano pazientemente che la tavola si svuoti di tutto quel ben di Dio, di tutto l’onore che loro, contadini, possono offrire.
I piatti sono interminabili. E la signora He va e viene da una stanza adibita a cucina, dove la cucina è fuoco e legna. Poi si sedie su una panca poco lontano e aspetta.
Ai nostri occhi stranieri il tempo di queste campagne, di queste lunghe canne di bambù, dei fili verdi di giovani risaie, è una sfida alle leggi della logica. Il tempo di un viso troppo piccolo per contenere tutti quegli anni, tutte quelle linee, tutti quei giorni.
Un elisir di lunga vita.
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La signora He aspetta pazientemente che i suoi ospiti finiscano di mangiare. Potrebbe restare seduta in quell’angolo per tutta una vita. La signora He ha aspettato una notte intera per cucinare il maiale in modo speciale, al vapore, per i suoi ospiti stranieri. Attende la raccolta del riso, ancora verde. Attende le stagioni, i prodotti della terra, e gli animali della campagna. Attende il digiuno per Buddha. Attende una preghiera espressa nel fuoco dell’incenso del tempio.
Aspetta una visita. Da lontano. Da un luogo dove si parla un’altra lingua, dove i nipoti non sanno scrivere cinese ma saranno medici, avvocati, commercianti. E avranno gli occhi grandi – chissà! – e i capelli attorcigliati. Dove il tempo ci è noto, dove non sono le foto di generazioni appese su un muro a contare gli anni. Foto vecchie di venti, quaranta, cent’anni. Generazioni ammucchiate in un unico vecchio quadro. Bambini piccoli e cresciuti, spose e madri, sposi e padri, sorrisi e stupori.
Testo di Giorgia Ricciotti | Foto di Antonella Ricciotti