Testo e foto di Giovanni Mereghetti
Non ne esiste uno uguale identico all’altro, ma tutti assomigliano all’ombelico di una donna. Così è, o così era almeno di certo quando nelle case modenesi le massaie impastavano a mano sul tagliere farina e uova freschissime e lavoravano la sfoglia tirandola con grande maestria con l’ausilio di un matterello di liscio legno di ciliegio, fino a farne una sottile pasta dorata e rotonda, soffice e profumata. A quel punto la sfoglia era pronta per esser tagliata in molti piccoli pezzi quadrati, al centro di ciascuno dei quali veniva riposto e poi imprigionato il ripieno dando abilmente ad ogni tortellino una foggia che impedisse al ripieno di sgusciare fuori nel brodo di cottura. Se questa è certo la ragione della forma dei tortellini, il mito vuole che ai tempi della Secchia, Venere, Bacco e Marte, reduci dai campi di battaglia su cui modenesi e bolognesi si erano nuovamente combattuti, avessero bussato nella notte a una locanda per riposare. Con le luci dell’alba, Marte e Bacco avevano lasciato la locanda senza destare Venere ancora accoccolata nelle braccia del sonno, la quale, svegliatasi sola e in preda allo spavento, si sarebbe mostrata all’oste ancora discinta per chiedere degli amici. L’oste, rimasto folgorato dalle forme splendide della dea, si sarebbe precipitato in cucina e preso un pezzo di sfoglia ne avrebbe ricavato dei quadretti, li avrebbe riempiti di pesto e li avrebbe arrotolati ricreando la forma dell’ombelico della dea. Ai tradizionali tortellini in brodo oggi si affiancano le versioni asciutte alla panna e al ragù che nulla tolgono al gusto del tipico ripieno di maiale, prosciutto crudo e parmigiano reggiano.