Testo di Sofia Bruni
Per la prima volta arrivano a Roma le opere di Bansky, uno dei più grandi e celebri artisti della Street Art. “Guerra, capitalismo e Libertà” è il titolo della mostra, allestita fino al 4 settembre a Palazzo Cipolla, a Roma, e organizzata dalla Fondazione Terzo Pilastro Italia e Mediterraneo. Si tratta di 150 opere che sono state prestate per l’occasione da collezionisti privati e non sottratte dalla strada come invece è accaduto per la mostra “Street art-Banksy&Co” di Bologna.
La figura del writer è alquanto misteriosa: di lui sappiamo con certezza soltanto che è nato a Bristol attorno al 1974, sebbene alcuni studiosi della Queen Mary University, basandosi su delle ricerche geografiche, affermino che il suo vero nome sia Robin Gunningham.
Banksy si esprime attraverso murales e graffiti, in particolare privilegiando la tecnica dello stencil, perché li ritiene immediati e accessibili a tutti. È attivo dalla fine degli anni Novanta e con la sua opera ha dato compiutezza a quel movimento artistico globale che trova in Basquiat e Haring i suoi principali esponenti. Tuttavia, nessuno prima di lui era riuscito a richiamare l’attenzione di un pubblico vasto e anche molto diversificato su temi attuali che dividono il mondo a metà: la guerra, il capitalismo, la libertà, l’immigrazione, l’omosessualità.
La mostra è incentrata proprio su alcuni di questi argomenti e, nello specifico, come indicato nel titolo, raccoglie le opere che trattano di guerra, capitalismo e libertà delineando un percorso suddiviso in tre parti. La prima sezione è forse la più corposa e rappresenta una forte denuncia contro la guerra proponendo molteplici raffigurazioni di situazioni belliche in cui ricorrono granate e militari con smile al posto dei volti dei soldati. Tra queste, si evidenzia un’opera particolarmente significativa che raffigura la silhouette di due bambini in piedi su una collina formata da armi, missili e bombe; sopra di essi, invece, un palloncino volante a forma di cuore, come a significare che dove c’è la guerra, l’amore viene presto dimenticato.
Nell’ala dedicata al capitalismo Banksy riflette sulle sue contraddizioni, spesso criticandone alcuni aspetti con molta ironia, come nel graffito in cui molti giovani apparentemente “alternativi” fanno una fila ordinata per comprare in un banchetto delle magliette con sopra scritto Destroy Capitalism che costano ben 30 sterline l’una. Interessante è anche “La bambina con ombrello”, dove la pioggia cade da dentro la cupola, come per farci notare che non tutto ciò che pensiamo ci protegga lo fa veramente.
Nell’ultima zona, adibita alla libertà troviamo i famosi rats, che sono il simbolo di tutti coloro che vivono ai margini della società, che danno fastidio ma che al tempo stesso potrebbero sovvertire l’ordine costituito. Così scrive l’artista stesso: “Loro esistono senza permesso, sono odiati, braccati e perseguitati, vivono in silenziosa disperazione tra il sudiciume e, tuttavia, sono in grado di mettere in ginocchio intere civiltà. Se sei sporco, insignificante e nessuno ti ama, allora i topi sono il tuo modello”.
Questa è l’opera dirompente di Banksy che seleziona elementi della nostra quotidianità, come fotografie, slogan, personaggi politici e di film, e li trasforma attraverso la creazione di un nuovo linguaggio espressivo e per comunicare contenuti alternativi alla cultura dominante che vanno spesso in direzione contraria a quelli originari. Come per esempio nell’opera che ritrae un ragazzo che sembra lanciare una granata, ma che invece ha in mano un mazzo di fiori.
In questo senso la sua arte è rivoluzionaria e trasmette un grande interesse verso l’umanità, nell’intenzione di contribuire alla costruzione di un pensiero originale e alternativo, che apra mente, e cuore, superando soprattutto ogni tipo di barriera. Infatti, come nelle sue parole: “Il muro è una grande arma. È una delle cose peggiori con cui colpire qualcuno” (Banksy, Wall and Piece).