Testi di Alessandro Morandini, Luisa Fazzini e Agostino Falconetti
Foto di Paolo Scarpa
Il valore di un viaggio è nella qualità dei ricordi che la memoria seleziona. Quando ci siamo messi a tavolino a progettare la nostra “Scozia breve” abbiamo compreso che ci stavamo regalando una sfida: rendere non usuale un itinerario noto e di facile realizzazione. Ci conosciamo da tanti anni, lavoriamo insieme, ma mai abbiamo condiviso un’esperienza simile. Quando siamo tornati abbiamo capito che eravamo riusciti nell’intento. Pescando tra i nostri ricordi vi raccontiamo perché.
Alessandro. Ricordo ancora il sobbalzo. Chiamato in presidenza! Ma come? Non ci ero mai finito da studente, e mi tocca da insegnante? Avevo appena terminato la mia giornata di scuola, e il collaboratore scolastico mi aveva annunciato con una certa ansia che ero atteso in presidenza. Cosa diavolo mai era successo?
Scendo le scale, corridoio, porta, busso, entro. Agostino mi guarda, e mi chiede a bruciapelo: “Se restringiamo il campo all’Europa, dove proporresti di realizzare un viaggio?”
Queste parole mi sono entrate nelle vene e nei miei circuiti mentali. In pochi istanti (e tappe bellissime), ho raggiunto un obiettivo: Mediterraneo… Corsica… no, troppo a Sud. Baltico… fiordi Norvegesi… splendido, ma voglio natura e cultura d’impatto… Mare del Nord… Orcadi!!!
E così propongo: perchè non esplorare la Scozia? Ci sono già stato, so come ci si muove, l’ho studiata da archeologo, conosco posti davvero speciali e fuorimano! Posso disegnare, per qualsiasi tappa si possa pensare, un itinerario!
Ed è cominciata proprio quel giorno, l’avventura: ciascuno di noi tre si sarebbe preso un aspetto da sviluppare, in base alle proprie capacità e al proprio sentire, alla scoperta della Scozia!
Agostino. Così ci troviamo in un mattino d’estate sul volo per Edimburgo con un bel gruppo disposto alla sorpresa e con il programma “Scozia breve” in libertà completamente stravolto. Perché?
Perché vogliamo essere curiosi e cercare, perché vogliamo mistero e scoperta. Vogliamo rileggere in modo nuovo un Paese, unendo le esperienze di viaggio di un vecchio coordinatore come me, le conoscenze di Alessandro, un archeologo che ti sa raccontare il passato con la meraviglia di un appassionato testimone oculare, le vie del gusto di Luisa, consigliere nazionale di Slowfood, e la sua ricerca di atmosfere che lei insegue nei libri ancor prima di partire.
Dove? Isole Orcadi: lontani dal tempo e dal mondo, uno stimolo irresistibile. Sarà una bella sfida.
Luisa. Il lusso del tempo. Il tempo lo si infila nello zaino ancora prima di partire. Cominciare a guardare con gli occhi di chi vive nel luogo in cui andrai. Avere già una direzione di sguardo per cogliere più rapidamente e per dilatare i giorni che ti sei concessa. Con i libri, durante il viaggio e al ritorno.
La costruzione delle atmosfere è fatta di incontri. Virtuali e reali. In un locale delle Orcadi mangiavo una fetta di torta fatta in casa e sfogliavo una pubblicazione “Le cose perse”: foto di abitanti delle isole con in mano un oggetto e il racconto del ritrovamento. Riconosco una giovane donna bionda con una minuscola statuetta bianca priva della testa tra le mani. Avevo già letto di quell’oggetto. Un carico naufragato due secoli fa. Me ne aveva parlato lei, Amy Liptrot: le sue Orcadi, che io conoscevo perché prima di partire avevo viaggiato tra i paesaggi che descrive ne “Le isole estreme”. Amy mi aspettava a quel tavolo, al mio arrivo, per ricordarmi cosa dovevo trovare in quei luoghi. Istintivamente ho sorriso all’immagine della carta patinata, ho guardato i compagni di viaggio e ho presentato la scrittrice. Le Orcadi mi avevano accolto.
Agostino. Mentre osservo le reazioni dei miei due amici e sorrido nel sentire Alessandro ripetere in continuazione al gruppo “… ma è meraviglioso!” e nel vedere Luisa con lo sguardo saturo di sensazioni dell’anima, mi ripeto soddisfatto che sì, si può andare oltre la visione comune del viaggio meramente turistico in Europa e che c’è ancora uno spazio per un rapporto autentico tra natura, storia, avventura vera e viaggiatore. E da qui parte la mia storia di questo viaggio. Voglio far capire al mio gruppo come entrare in contatto con l’autenticità di un luogo e come conoscere l’intimità e la vita delle persone che vi abitano. Comincio la prima sera, con la scelta di dare un senso al pernottamento, diversificando poi notte per notte il tipo di alloggio, usando strutture usate dai locali e case comuni: un college universitario immerso in un parco – come direbbe Alessandro – meraviglioso, un appartamento abbarbicato sopra l’unica osteria di un piccolo paese di passaggio, una signorile dimora di campagna, una fattoria persa nel silenzio delle Orcadi, un appartamento ricercato in centro a Stromness dominato da un finestrone sul porto, una soffitta nel centro di Edimburgo. Ogni letto ci ha raccontato un pezzo di vita, ci ha fatto alzare infilando le scarpe di chi quei luoghi li vive quotidianamente. Siamo stati studenti, proprietari terrieri, fattori, abitanti di città di mare, cittadini dei piani meno nobili.
Alessandro. Qui viene il bello, però: il problema maggiore era quello di costruire un viaggio adattabile ad un’utenza che non conoscevo! La mia coscienza di game designer autodidatta mi è venuta in aiuto. Quali possono essere i bisogni e le richieste di un viaggiatore che vuole visitare la Scozia? Chiunque abbia davanti, mi dicevo, non deve annoiarsi; e per non annoiarsi dovrà entrare nelle trame del paesaggio, fondersi con esse, recepirne i linguaggi, raccogliere qualcosa di essenziale e significativo da fare proprio e interiorizzare. Avrei potuto fornire a tutti questa possibilità? Quale la ricetta? Si trattava di costruire percorsi significativi. Non solo belli da vedere o interessanti.
Il secondo aiuto mi è giunto dalla mia esperienza di docente. Sono intimamente convinto che l’attività di apprendimento debba essere per tutti una sorta di esperienza sciamanica, ossia un trasformarsi e viaggiare in luoghi e tempi diversi spinti da stimoli appropriati proposti al momento giusto, per poi ritornare forti, rinvigoriti, guariti, cresciuti. Il combustibile più adatto è il piacere. Come docente e game designer mi affido spesso a progettare una meccanica del piacere nelle attività formative: le persone sono spinte a giocare perchè hanno voglia di divertirsi, raggiungere determinati obiettivi, avere esperienze significative, fare scelte, cambiare modo di vedere, trasformarsi… e imparare non è la stessa cosa?
Il resto è venuto da sè: ho scelto dei paesaggi tipo per dare un’esperienza di Scozia che fosse “Scozia”; e all’interno di questi paesaggi ho cercato elementi di valore paesaggistico e culturale che avessero un forte impatto sulle coscienze dei visitatori. Infine, a un livello superiore, ho cercato di armonizzare tra di loro tutti questi elementi, creando una trama, uno schema, che desse al viaggio stesso un equilibrio e un aroma suo proprio. Quello che ti resta dentro una vita intera quando sei tornato.
Infine ho inserito l’ultimo ingrediente, ma anche il più importante: la libertà! Qui la scelta di campo era forte, e molto personale: ma non posso accettare di costruire un viaggio-gabbia, intrappolati nei meccanismi degli orologi! Questo viaggio doveva avere un aspetto naturale, spontaneo. Una struttura sicura e coerente, ma aperta alle possibilità, agli imprevisti, ai nostri umori.
Luisa. Ho fatto delle foto alle finestre. Dall’interno all’esterno. Per fissare gli spazi diversi che entravano nell’anima. La mia ricerca dei piaceri gastronomici è una semplice estensione concreta dell’uso in viaggio di tutti i cinque sensi. Mi piace intercettare, percepire, portare dentro me stessa quanto riesco ad avvertire della diversità dei luoghi che mi circondano rispetto al mio quotidiano. I sapori sono l’aspetto più facile da catturare. Ma poi c’è tutto l’esercizio dell’empatia geografica. Non cosa hai visto, ma con che cosa sei entrata in contatto. E ho cominciato facendo le foto alle finestre. Due mi sono rimaste nel cuore. La finestra della camera nella fattoria delle Orcadi, strapiena dei miei oggetti un po’ lanciati e ben mescolati a quelli della padrona di casa, e fuori i cavalli, le pecore, il vento, il verde, le terre solitarie di questa manciata di isole gettate nell’Oceano. E la finestra della cucina della soffitta di Edimburgo con la vita cittadina che brulicava di sotto, le auto, le scie delle luci, e noi lassù a dominare la città cucinando insieme spaghetti e risate.
Agostino.Si può ancora in un mondo mappato interamente, controllato dai satelliti e dalla rete, viaggiare ancora col fascino dell’imprevisto? La prima mano ci viene data dal navigatore in dotazione alle nostre auto. Giusto il tempo per capire come si dice rotonda e afferriamo che di autostrade non ne vuole proprio sapere. E così partiti da Edimburgo raggiungiamo la Contea di Stirling “la porta delle Highlands”, attraversando la campagna con le sue stradine e le pecore a guardarci.
Stirling ci esibisce da lontano il suo castello medievale e la torre di William Wallace, l’eroe nazionale scozzese che Alessandro ci racconterà per filo e per segno….”con la sua magnifica spada d’acciaio a due mani con la quale combattè vittoriosamente gli inglesi”. Dall’alto della torre ci farà poi ammirare i campi di battaglia con tanto di descrizioni tattiche. Con l’immaginazione rivedo il condottiero immortalato da Mel Gibson in Braveheart. Anche il cinema ti permette di illuminare i tuoi pensieri e farti viaggiare mentalmente. Poi un giorno hai la fortuna di confrontare l’immagine che hai nella tua testa con lo specchio della realtà per capire ciò che vedi. Ci sono i colori, i profumi, le stagioni, il clima, le persone. Ma non li puoi apprezzare allo stesso modo se prima non hai viaggiato con la testa.
Luisa. Noi visitiamo i luoghi del passato come se fossero tutti stati abitati da esseri umani già morti, cristallizzati in un ruolo assegnato dalla storia. Di loro dunque non resta niente. E invece ponetevi al centro della navata della chiesa di Holy Rude, di fronte all’altare, infischiatevene di essere nel 2018 in scarpe da trekking e maglietta tecnica e giratevi. Giratevi con la bellezza più regale che sapete esprimere, lo sguardo fiero e sorridete altere ai nobili inchinati in omaggio di fronte a voi, alla nuova regina di Scozia: Maria Stuarda. Metro più metro meno quei fatti accaddero lì, sotto le volte ancora autentiche che hanno visto trascorrere da allora cinque secoli. E poi siete arrivate voi, nello stesso luogo. Con la polvere del viaggio e lo zaino. Ma con la fantasia e il cuore dei grandi romanzi cavallereschi. Per me la capacità di viaggiare è anche nella magia del tempo. Seguirò in questo viaggio Maria nella rocambolesca fuga notturna dal castello di Lochleven, con il nobile di lei innamorato, sentirò i primi vagiti di suo figlio Giacomo I in una piccola camera dalle parenti di legno nel castello di Edimburgo a strapiombo sulla città e poi tornerò una seconda volta a Holy Rude a posare il piede sopra la lapide del luogo esatto dell’incoronazione del primo re dei due regni rivali uniti. Abbiamo visitato tutti questi luoghi. E abbiamo visto la storia con gli occhi di una sovrana scozzese, in una prospettiva diversa dai libri di storia. Io credo nelle atmosfere, nelle emozioni, nei flussi. Io credo che sentire sia il più affascinante modo di vedere. Spesso non so dirvi al ritorno esattamente dove sono stata, ma sicuramente sempre come mi sono sentita.
Alessandro: Ci siamo sentiti, nelle Highlands, esseri microscopici di fronte all’enormità di quegli spazi; il vento del Mare del Nord ci ha attraversati; le scogliere ci hanno tolto il fiato, sospesi sul vuoto; le tombe antiche ci hanno ospitati al loro interno (un ritorno dentro madre terra, e poi una rinascita); i monoliti allineati con le stelle ci hanno fatti sentire uniti dentro un cerchio magico; i castelli sui fiordi o sugli isolotti, le antiche cattedrali, ci hanno portati in altri tempi. E la Natura, sempre intorno a noi, così potente, così avvolgente, così immensa! E il ritorno scioccante alla città (alla nostra civiltà!): da ciò che è sconfinato, ai quattro muri che ci circondano; in molti ci siamo sentiti soffocare. Terapeutica riscoperta della libertà! Ho un’immagine, tra le tante che mi resterà dentro: quando, dalle scogliere sull’isola di Birsay (da raggiungersi solo con la bassa marea – un gioco nel viaggio) una foca ci guardava, circondata di gabbiani, galleggiando tra le onde spumose di un mare agitato. Quando un cavallone l’ha alzata oltre il pelo dell’acqua, in trasparenza si è visto il suo corpicino: e a molti di noi sono venute le lacrime agli occhi, perchè quella semplice nota, che faceva parte di un’armonia di altri elementi, ci ha chiamati dentro all’opera della Natura. Quella foca ci ha commossi perchè ci siamo sentiti come lei; la nostra vita come la sua, nelle ondate della vita, forte di sopravvivere in quella bellezza selvaggia – e vera! Ondate che la nostra cultura, invece, spesso ci anestetizza, lasciandoci vivere in una percezione del mondo fittizia.
Agostino: E’ quasi sera quando arriviamo ad Oban dopo aver attraversato il Loch Lomond National Park. Abbiamo trovato una camerata intera per noi in un ostello frequentato da bikers baffuti e tatuati. Il navigatore ci porta ad inerpicarci sulle stradine che dal porto salgono verso l’interno. Per poi riportarci ancora a due passi dal molo dove c’è il nostro ostello. Il sole è ormai sceso dietro alle isole. Le altre due auto sono arrivate in anticipo tanto che Alessandro ha portato parte del gruppo sulla spiaggia di Ganavan a raccontare storie di antichi riti celtici. Oban è considerata la capitale scozzese dei molluschi ed è nota per gli invitanti chioschi di fish and chips. Ma noi approfittiamo della cucina dell’ostello per la prima spaghettata di gruppo. Anche perché i locali chiudono piuttosto presto, in linea con gli orari dei pasti scozzesi. Questo lo capiremo presto. Mentre le taverne del porto regalano ancora qualche ora per l’ultima birra. Sui banconi di legno, col vento che fuori soffia forte sul mare e il cielo che dona ancora un po’ di luce si incontrano personaggi locali che vogliono parlare di calcio. Non si sa se strani o se sbronzi, il linguaggio universale della palla rotonda ci unisce in prolungati brindisi tra Celtic Glasgow ed Hellas Verona. Ogni luogo da un significato alle proprie esistenze.
Alessandro. Ci sarebbe stato un tramonto sul mare da non perdere assolutamente. Agostino e Luisa erano tornati a Edimburgo ad aspettare gli ultimi arrivi in aeroporto. Con le nostre due auto noi avevamo viaggiato in direzione opposta, da Stirling a Oban in vecchio stile: niente navigatore (aborrito!) ma carta topografica, e scelta delle strade più interessanti. Felici del percorso, panoramico, efficace e fuorimano, avevamo attraversato comodamente il National Park Loch Lomond & Trossachs. E sistemati infine in ostello “armi e bagagli”, ci siamo guardati: mancava un’ora scarsa al tramonto sul mare.
Che fare? Abbiamo deciso all’unisono: Ganavan Sands, poco a Nord di Oban. Il primo impatto con scogliere di roccia e spiagge di sabbia.
In venti minuti d’auto abbiamo raggiunto un luogo magico. Qualcuno aveva sistemato una tenda per passare la notte sotto le scogliere, tra i cespugli fioriti e gli scogli. E mentre il sole scendeva sulla linea blu tra cielo e mare, ci siamo accorti che, nel prato sopra la spiaggia, in posizione appartata, erano state disposte con grande cura tra l’erba tantissime pietruzze (ad uno sguardo attento, già da molto tempo). In più punti formavano labirinti che riprendevano modelli tanto dai pavimenti di cattedrali medievali quanto dai siti preistorici più noti.
Evidentemente venivano regolarmente utilizzati in quella meravigliosa location dal sapore profondamente celtico. Non abbiamo resistito al richiamo iniziatico di quel sidh: abbiamo percorso mano nella mano, in fila indiana, quei labirinti tracciati sull’erba, in un percorso inconscio verso l’interno, fino al centro della figura e di noi stessi, e poi all’esterno, per ritornare al presente.
Ancora non so perchè mi sia venuto in mente di proporre una cosa simile: è stata un’intuizione improvvisa, spontanea e naturale per tutti, che ci ha uniti saldamente con un legame speciale. A ripensarci oggi … è come se una Scozia più intima e riposta si fosse aperta a noi.
Terminato il rito, il signore anziano che stava nella tenda, in posizione di meditazione e con una specie di breviario davanti a se’, ci guardava compiaciuto. Il tramonto era meraviglioso. Strana esperienza, felice inizio…
Agostino. E’ mattina e già il nostro navigatore non riconosce Glencoe. Ce ne accorgiamo quando siamo già su un affascinante fiordo che non avremo mai raggiunto. Stiamo risalendo le Highland tra valli e foreste che fanno da cornice ad un paesaggio incredibilmente affascinante. Scenari che hanno fatto da location a film come Harry Potter e Braveheart. Ci incuriosisce il Glencoe Lochan. Questo lago venne appositamente costruito artificialmente come regalo per le nozze da Donald Alexander Smith alla moglie per ricordarle il Canada, per il quale provava una forte nostalgia. Facciamo il Lochan trail tra boschi di conifere, grandi felci e le acque chiare del lago. Il tempo ci regalata una giornata limpida e le foglie illuminate dal sole creano effetti di luce irripetibili. A mano a mano che risaliamo le Highlands incontriamo laghi di un blu profondo come la notte. Alzando lo sguardo scorgiamo la montagna più alta del Regno Unito: il Ben Nevis. Alessandro sorride gasato davanti ai 1345 metri di questa montagna che non possono lasciarti indifferente. Ci fermiamo a consumare il nostro pranzo al sacco sotto un grande monumento dedicato ai soldati britannici che hanno combattuto in tutto il mondo. La vista spazia all’infinito, fino a Loch Ness, lago del mostro e di tutte quelle storie infarcite di draghi che dal Medioevo ad oggi creano magia e mistero in queste terre.
Luisa. Sono convinta che il viaggio debba essere epidermico, solo la pelle separa il dentro dal fuori, e quando il fuori entra dentro tu lo torni a osservare con sguardo di nuovo incanto. Ci sono altre foto per me speciali. Quelle che ho fatto dall’interno dell’auto nella traversata delle terre del nord della Scozia verso Inverness. Le forme delle montagne appena affioranti sulla pianura, i laghi blu incastonati nel verde, le pecore vaganti, la strada che si snodava quasi solo per noi. Non ci siamo spostati, ma abbiamo attraversato un luogo, ci siamo passati proprio attraverso, lo abbiamo respirato, ritagliato con gli occhi, conquistato all’anima come la strada, oggetto quel giorno per eccellenza di tutta la nostra attenzione.
Agostino. “Ma che bel castello…”. Viene spontaneo pensarlo mentre entriamo dove un tempo c’era il ponte levatoio di Urquhart e ci perdiamo tra questi sassi vecchi di centinaia d’anni. Saliamo sull’antica torre di pietra posta in una posizione strategica sulle acque cupe del Lago di Loch Ness. Mentre sotto di noi passano i battelli dotati di sonar perché…non si sa mai che il mostro… Naturale pensare allo splendore di un tempo e la sua imponenza mentre ci ritroviamo a camminare tra queste rovine. Rivivere col pensiero storie e scene vissute in queste stanze. Mistero e suggestione. Poi spoetizziamo un po’ il tutto scherzando con le palle delle catapulte e la mamma di una sposa rigorosamente in dress code regina. Il Ministero del turismo ha investito un ingente cifra costruendo un moderno centro visitatori favorendo l’arrivo di flotte di turisti da selfie contro il parere degli abitanti locali. Oggi Urquhart è il terzo castello più visitato della Scozia, dopo quelli di Edimburgo e Stirling. Usciti dal Great Glen, superiamo il ponte di Inverness e il paesaggio cambia improvvisamente. Il vento svuota il paesaggio dagli alberi, solo praterie, mare e pecore. Nel mare navi lontane, le strade si restringono e ai nostri fianchi il monotono ondeggiare dell’erba. E’ il tramonto quando entriamo nella Taverna Tartan con i nostri zaini. Fuori rinfresca e il villaggio di Helmsdale è deserto. Tutto gira intorno a quel bancone con i personaggi più impensabili e la loro pinta di birra. Prendiamo posto nelle nostre stanze e ordiamo la cena. E scopriamo il miglior agnello del mondo.
Luisa. Non viaggio per collezionare luoghi. Viaggio per il piacere della percezione, a cui poi seguono la riflessione e quel piacere inesprimibile del contatto con l’infinito. Viaggio per dilatare il mio essere, per espandere i miei sensi, per sentirmi parte di un tutto che mi accoglie. Per questo i viaggi per me vanno pianificati con la passione della ricerca che non ti conduce in un luogo, ma ti ci fa entrare.
Agostino. Arrivati, abbiamo raggiunto la meta prefissata mesi prima. Guidati da una sorta di attrazione magnetica, da una grande curiosità, dal desiderio di affrontare terre ventose e lontane. Sulle remote strade siamo i pochi turisti che vagano con la voglia di fermarsi e capire. Capire la grande capacità di adattamento di chi vive qui, in una terra ostile, battuta dai venti e dalle piogge che ora invece ci viene regalata dalla luce di un’estate secca. E mentre percorriamo queste strette vie con le nostre auto in me emerge il sentimento romantico, nei prati verdi pieni di fiori, nelle pecore gonfie di lana, come se osservassi immagini tratte da film o da libri in cui le storie si ambientano in minuscoli universi a misura d’uomo. Raggiungiamo le nostre abitazioni percorrendo i vicoli che conducono al porto di Stromness, un luogo che ti trasmette un senso di lontananza da tutto. E poi ancora sulla strada, eccoci girare per la campagna alla ricerca della nostra fattoria, tra percorsi aspri ma carichi di dolcezza. Poi i nostri giorni a camminare, tra la Storia e le storie raccontate da Alessandro, l’Old Man di Hoy, le tombe e il walking in the past di Scara Brae e il misticismo che ci è entrato nel cuore del Ring of Brodgar. Noi e il silenzio di questi luoghi rotto, solo dal sibilo del vento e dallo stridulare di migliaia di uccelli. Noi e la luce di giornate lunghissime limpida e pulita. Noi e quel senso di vastità che ti avvolge nel contatto tra terra, oceano e cielo infinito. Torniamo ubriachi di sguardi verso orizzonti infiniti. Tutto di una intensità estrema: i luoghi, le sensazioni, le onde e i compagni di viaggio.
Luisa. Edimburgo ha il respiro di una vecchia strega nera. Mi sono sempre annoiata mortalmente, anche se per Edimburgo questo è un avverbio adattissimo, nell’ascoltare dalle guide le scontate descrizioni dei monumenti. Ma Eleonora Vanello, il mio contatto Slow Food a Edimburgo, ha trovato un lugubre cantore di storie della città e dei suoi personaggi: Stefano. Immersi in una dimensione violenta, magica e mortifera, tra le pietre scure dei palazzi, del cimitero e del castello, abbiamo trascorso con lui una mattinata piacevole ed inquietante.
A Edimburgo ci siamo seduti alla tavola scozzese. Nel pomeriggio Eleonora ci ha organizzato una degustazione di birre artigianali nella zona del porto e poi ci ha portati a cena in un locale tipico, invitando anche soci Slow Food. Di quell’ultima giornata dunque ricordo la compagnia degli Scozzesi che hanno trascorso del tempo con noi: i sorrisi e la simpatia delle guide del tour della birra che ci hanno portato a piedi a scoprire il porto di Edimburgo e la storia locale delle sue birre artigianali, il cuoco che alla sera ci ha presentato i piatti che avremmo assaggiato, le chiacchiere con i commensali del posto. Eleonora ha saputo chiudere il nostro viaggio con il calore del contatto con la popolazione e i sapori del posto. Ci siamo accomiatati dalla Scozia rendendo omaggio al piacere della convivialità, come piace a me.
Agostino. Poi li ho riportati a casa. Da coordinatore non sono riuscito a sottrarmi a un bilancio in coda al check in in aeroporto. Paolo, un esperto partecipante di avventure nel mondo mi ha detto: “Mi sono iscritto a questo viaggio perché ci vedevo una unicità e adesso sono contento perché non mi sono sbagliato”. Alessandro e Luisa si sono illuminati. Un successo. Il nostro primo successo a tre. Ne sono orgoglioso e sotto la mia vecchia scorza di più di ottanta da coordinatore viaggi mi sono emozionato perchè avevo portato i miei amici a sperimentare questo mio modo di viaggiare che tante volte avevo raccontato. I loro occhi ora narravano una visione che io ho tante volte vissuto, che ho sempre difeso, in cui credo e che voglio trasmettere, ma soprattutto che come coordinatore voglio condividere. Il mio senso del viaggiare. Per questo ancora oggi non ho perso il richiamo del lontano, per il bisogno della mia anima di vedere con quella luce che coglievo negli occhi dei miei due amici al ritorno. E di tutto il gruppo che ci ha accompagnati.
Alessandro. E da questa scrivania in cui scrivo, ritorno a essere di nuovo docente e game designer autodidatta: guardo con piacere tutto quello che mi hanno lasciato i miei compagni di viaggio: fotografie, messaggi, ringraziamenti. E vedo che non sono stati felici solo per quello che hanno visto, ma soprattutto per quanto hanno vissuto. Ciascuno ha trovato qualcosa. Gli spazi, le attività, le visite hanno consegnato ad ognuno di noi qualcosa di quanto andava cercando, lasciando la possibilità di intraprendere piccoli e grandi percorsi di crescita e cambiamento personali (nel gruppo c’era anche mio figlio quattordicenne, che esperienza!). Sono davvero soddisfatto del mio viaggio personale; ho potuto condividere con amici vecchi e nuovi parte della bellezza che mi portavo dentro da anni, e che era solo mia (e sola!). E sono felice per come i nostri viaggiatori hanno interagito con noi, tra di loro, e con la Scozia che gli abbiamo fatto provare noi tre!
Luisa. Il lusso del tempo. Quando mi sono ritrovata sull’aereo del ritorno ho sommato tutte le mie emozioni in questa consapevolezza. Avevo la percezione di aver dato allo sguardo il suo tempo per entrare nei luoghi. Avevo vissuto i momenti, senza la fretta di una programmazione fagocitante. Noi non avevamo visto. Eravamo entrati in contatto. Per la mia formazione umanistica questo aspetto è determinante. Non mi interessa quanto. Mi interessa come. E in questo viaggio il come è stato il filo conduttore. Ho osservato a lungo gli strapiombi delle scogliere contrastando le mie vertigini, ho sentito il fluire eterno del movimento della natura nelle onde, nel volo degli stormi, nella sagoma controluce di una foca nella trasparenza dell’acqua, ho ascoltato il silenzio assoluto all’interno di tombe neolitiche, ho ammirato la forza diroccata di castelli fuori dai circuiti turistici, ho guardato i paesaggi dalla finestra di un college, di una tenuta signorile di campagna, di un appartamento cittadino, di una fattoria, di una casa di fronte al porto. Ho fatto la spesa quotidiana, ho degustato birre artigianali raccontate dai locali, ho cenato insieme a gente di Edimburgo, allo stesso tavolo, mentre il cuoco spiegava i sapori tradizionali che avevo nel piatto. Ho rifiutato l’abito della turista per cercare di vedere oltre. Di vedere dentro. Ci vuole tempo. Noi ce lo siamo concesso.
Il lusso del tempo dunque. Un viaggio si prepara indirizzando lo sguardo, si vive nel contatto, si conserva nell’incanto della memoria.
Agostino Falconetti
Luisa Fazzini
Alessandro Morandini