Testo e fotografie di Marilou Rella

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Arrivare a Istanbul in occasione della Id al-adha (ricorrenza islamica celebrata ogni anno, festa di tre giorni che cade nel mese sacro del pellegrinaggio alla Mecca) ha rappresentato, senza dubbio, l’entrata in un altro mondo. Giunti dall’aeroporto di Atatürk nella celebre piazza Taksim, siamo subito saliti sul tranvai storico, piccolo e strapieno di gente sia dentro che fuori, con i ragazzini aggrappati alle maniglie esterne.

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Un percorso nella variopinta e brulicante via Istiklal, procedendo a passo d’uomo, attraversando una folla di persone festose, famiglie con bambini, turisti che da tutti i lati fotografavano il passaggio del romantico mezzo di trasporto rosso, di legno, che annunciava le fermate con una campanella, con il conduttore che parlava ai passanti dalla finestrella. Un percorso breve, ma immediatamente rivelatore dell’anima estremamente vivace e caotica della città vista da un’insolita prospettiva: la calca di gente ci circondava completamente, chi ci camminava accanto, chi dietro, finanche davanti, attraversando all’improvviso o spostandosi appena al nostro passaggio. Dunque, appena arrivati, siamo stati accolti da un’atmosfera gioiosa.
Sei giorni a Istanbul ci sono bastati appena per visitare i monumenti del Sultanahmet – centro storico e turistico nella parte moderna (europea) della città – affacciandoci anche sulla parte asiatica, con una suggestiva traversata in traghetto sul Bosforo.

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In pochi giorni siamo riusciti a farci un giro nel variopinto e immenso mercato del Gran Bazar, a godere di un bagno turco nel quartiere di Beyoğlu, a fare lunghissime passeggiate – perdendoci nelle stradine, mangiando cibi gustosissimi, sia in strada dai venditori ambulanti che nei ristoranti – prendendoci il tempo di oziare negli innumerevoli bar, a bere tè turco o dolcissime spremute d’arancia e melograno. Sempre accompagnati da un’incessante colonna sonora di melodie orientali mescolate ad altri suoni, ai rumori del traffico, alle voci. Protagonista di Istanbul è infatti la musica, parte integrante della vita quotidiana, sempre e dappertutto, dai richiami dei muezzin delle innumerevoli moschee cittadine, ai musicisti di strada (anziani, giovani e bambini) ad ogni angolo di strada. Un incanto.
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Insomma, un’idea di Istanbul ce la siamo fatta. Ma sei giorni non sono certo bastati per afferrare appieno la sua identità tanto variegata, a capire a fondo la sua complessa storia, a carpirne l’essenza, quanto ammaliante quanto, a tratti, inquietante, per le evidenti contraddizioni, per le divisioni ancora accese tra la popolazione. A soli due giorni dall’arrivo infatti, una sera, camminando tra i locali, immersi nella vivacissima vita notturna della città moderna, ci siamo imbattuti, all’improvviso, in una manifestazione contro il Presidente Erdogan, a sostegno dei Curdi, in seguito agli attacchi dell’Isis alla città di Kobane (in Siria, al confine con la Turchia). Manifestazione subito duramente repressa dalla polizia turca.

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Alla vista delle persone in corsa per sfuggire agli scontri, abbiamo fatto lo stesso, allontanandoci, ma il fumo dei lacrimogeni è giunto anche anche a noi, lasciandoci esterrefatti, circondati dai turchi che – pronti e abituati – camminavano proteggendosi dal fumo con fazzoletti come se niente fosse. Le sere successive, sempre in zona Takism, e nel quartiere curdo di Tarlabasi, le proteste sono proseguite, e insieme la loro repressione; mentre di giorno la città continuava a pullulare di turisti, di turchi e arabi in visita ai musei, nei negozi, nei parchi con le famiglie, di ragazze col velo passeggiando con amiche senza velo, di giovani mogli coperte dal velo islamico nero integrale (nonostante il gran caldo) accanto a mariti vestiti all’occidentale. Sei soli giorni ci sono bastati per capire che Istanbul non è un’unica città con un centro, ma numerose città con centri assai diversi tra loro.

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