di Marco Carlone

 

Tra Bari e Durazzo ci sono circa 200 chilometri in linea d’aria, tra Otranto e Valona meno di cento. Eppure, nonostante la vicinanza geografica, l’Albania si rivela da subito un luogo prossimo, familiare ma allo stesso tempo distante e remoto.

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I tratti distintivi che rendono questo paese così stimolante e per certi versi contraddittorio, come spesso accade, emergono più facilmente durante un viaggio attraverso il suo territorio. E se muoversi sulle sue strade è già un’impresa, spostarsi in treno può diventare una vera e propria esperienza.

Le ferrovie albanesi si sviluppano dal porto di Durazzo con tre linee dirette verso nord, sud ed est, lunghe circa 100/120 chilometri. I treni sono composti da una locomotiva di seconda mano proveniente dalla Repubblica Ceca e da due carrozze italiane o tedesche che si reggono in piedi per miracolo. Dentro, le scritte sono nelle lingue originali e non c’è la luce. I finestrini sono sfondati dalle pietre lanciate dai bambini e dai possessori dei mini bus privati, i quali cercano di dissuadere con queste modalità i passeggeri che prediligono la rotaia alla gomma. Le carrozze, regalate dalle FS alle ferrovie albanesi, erano quelle usate in Italia fino agli anni Novanta sui grandi espressi notturni.

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Nella stazione di Rrogozhine, c’è un banchetto che vende snack ed infradito, palloni e sigarette. La proprietaria è molto gentile e smobilita mezzo paese (riversato nel bar adiacente alla stazione) per farci capire l’orario del treno per Librazhd, che giungerà a breve. Con l’arrivo del convoglio la solerte venditrice imbraccia inaspettatamente cappello e paletta: è lei la capostazione, costretta ad arrotondare uno stipendio striminzito con la sua bancarella. Il treno si ferma, carica una manciata di persone, poi ricomincia la sua lenta marcia verso le montagne fischiando a tutti i muli, cavalli, galline e capre che incuranti popolano i binari.

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Alla stazione di Elbasan, una manciata di chilometri più a est, sembra di essere in un parco giochi, con decine di bambini e bambine che scorrazzano tra i treni in manovra e le carrozze accantonate. Tra loro c’è anche Igli, un ragazzino di 14 anni che ogni giorno fa un’andata e ritorno fino a Durazzo per vendere bibite fresche. Una sorta di servizio snack-bar fai da te a bordo treno. Pochi metri dopo la stazione, la ferrovia prosegue districandosi a fatica tra le innumerevoli bancarelle che affiancano disordinate i binari e occupano ogni centimetro di spazio libero. Come se nulla fosse, il convoglio passa alzando un nuvolone di polvere e strombazza tra i casellanti che fermano – a fatica – il traffico cittadino.

A Librazhd, Samuel, un ragazzino di nove anni, aspetta il treno come se fosse l’evento più importante della giornata. Non gli capita molto spesso di incontrare turisti italiani che vengono a fotografare il suo vecchio treno… Nella stazione – che sembra abbandonata in un limbo temporale – lavora sua mamma, che fa la barista e anche la bigliettaia.

Valon, il macchinista, percorre tutti i giorni questa tratta partendo alle 7 da Durazzo e tornando a casa dieci ore dopo. Nonostante il viaggio sia lungo e sfiancante, Valon ama il suo lavoro e spera che presto i suoi figli lo seguano in ferrovia.

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Stazione Librazhd

Dopo Librazhd i binari proseguono verso la Macedonia fino a Prrenjas, passando attraverso un paesaggio in cui i toni del verde scuro si alternano al rosso intenso delle rocce di arenaria. A Prrenjas però il treno non arriva più, e in stazione è rimasta solo una lunga fila di locomotive a prendere ruggine. Dopo decenni di onorata carriera, oggi davanti alla stazione c’è il cimitero dei treni, diventati con il passare del tempo un rifugio per i cani, le volpi e i cinghiali che scorrazzano indisturbati nei prati circostanti.

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