Di Nino Guidi
Un’estate strana, era da febbraio che era strana. Sotto il segno dell’Acquario l’obbiettivo Perù prendeva forma e sostanza.
Nel silenzio dei boschi secolari del Cansiglio governati con rigore e oculatezza dai Dogi di Venezia prima e dai migranti Cimbri dopo.
Un equilibrio tangibile tra uomo e Natura alimentava la fantasia e la ricerca di nuove conoscenze.
In un Risiko familiare l’idea Perù, gli Inca, i Quechua trovavano attenzione da ogni fronte.
Il gruppo è formato, piccolo. Piccolo è bello. Una guida in standby, il sottoscritto, cuore rinnovato da testare alle alte quote. Una settantenne, prima volta in tenda, prima sui quattromila. Due navigate camminanti. Felix, la guida peruviana ufficiale.
Fine luglio il periodo, motivi di ferie e di stagione. E’ inverno, là. Clima secco e meteo stabile, il ghiaccio nostrano ci chiama d’estate, quello andino distante sei mesi, altrimenti pioggia.
L’Equatore fa la differenza, la natura no. La regola universale, assecondarla!
Imbrigliare, piegare diventa un conto salato da pagare. Anche là ghiacciai dimezzati e bacini raddoppiati.
Il menù nella formula degustazione. Due viaggi a piedi. Con gli asini prima, con i portatori dopo.
La Cordillera Bianca ci attende, a seguire Machu Picchu con gli Inca. Nel mezzo rare suggestioni. Isole galleggianti, pinguini, foche e leoni marini. Il Titikaka, il lago. Il Colcha, il Canjon. Condor, Pampas infinite e Montagne Arcobaleno. Il dessert da stella Michelin: la salita del Nevado Pisco 5760 mt.
Si vola. Tanto, troppo. Lima ci attende , si cela in ultimo istante. Cielo impenetrabile tra umidità e smog. Neanche i clacson riescono, le frequenze rimbalzano, le orecchie lamentano.
Ci siamo il 25 luglio. Il 26 si aprono i Giochi, le Parapanamericane di Lima 2019. Il 28 festa dell’Indipendenza. Un delirio. Eventi e parate per sperare un futuro diverso. Chi festeggia e chi protesta, i contadini bloccano le strade ad Arequipa. Si all’agricoltura, no alle miniere. Lima 1 , del popolo, nel caos, Lima 2 (Miraflores), degli investitori stranieri, nel lusso. Sarà dura. Dieci anni di braccio di ferro passati senza progressi. Veglie notturne in abiti da lavoro, mille candele disegnano profili di contadini consumati da fatiche di alta quota. A Chiway, a Arequipa. Si radunano, giovani e vecchi. Disordini e disagi. Ogni medaglia con il suo rovescio. Ogni contrattempo una scoperta, di noi, degli altri. Imprevisti, intralci che aprono porte e portoni. La trama si tesse, Kavafkis rammenta.
Prima tappa Huaraz, tremila metri di acclimatamento. Colori, cactus, mercati, strade polverose, case incompiute. A Huaraz come a Lima come a Puno, come a Cuzco. Come in Calabria, anzi peggio. Gli Inca chiedono vendetta. Nei loro siti verde e grigio, Terra e pietra, acqua. La Natura fatta equilibrio. Altre epoche, altre teste. Il Perù, dignità antica e rassegnazione moderna. Case incompiute, senza tetti, nè intonaci. I ferri spuntano oltre i solai, aspettano fiduciosi nuovi volumi a breve. Nuovi abusi, giusto il tempo di nuove elezioni. Villaggi e baraccopoli come formicai. Le chiamano, a ragione, occupazione, nessuna traccia di pianificazione. Un solo colore confonde case e colline, deserto e polvere. Del verde nessun segnale. Le linee elettriche come festoni. Un mare di stringhe nere ad altezza finestre tagliano a fette la vista del cielo. Zero dignità per edifici chiamati abitazioni, rispetto zero per pedoni e ciclisti. Gli acrobati della strada vincono il premio sopravvivenza. Bambini che imparano a vendere tra le auto che sfilano, ciclisti che sollevano bici sopra la testa e sorpassano a piedi. Gli uber della ristorazione pedalano incerti, di sicuro solo la temperatura dei pasti ordinati, bassa.
Facciate di case contese tra compagnie telefoniche e campagne elettorali. Mura grezze dipinte a tinte forti. Bitel, l’azzurra, promette segnale ogni dove, Clario, la rossa , senza roaming, l’Alcade1 candidato a caratteri cubitali. Chi vincerà? Chi resisterà? Chi avrà la vernice migliore per imprimersi per anni nelle memorie popolari? Ogni medaglia ha il suo rovescio. Accettare colori, rinunciare all’intonaco. Muri grezzi a nuova vita, colore per loro, colore dei soldi e vita per le tasche. I risparmi per l’acqua che le cisterne portano. Dieci volte il costo dall’acquedotto. Quello di Miraflores.
Un mare di taxi attende i cittadini. Per gli altri i cholo-taxi. Mezza motocicletta, mezza ape versione Asia, mezzi sedili. Mezza tariffa. Per i “Cholo”, i campesinos delle Ande. O i collettivi, bus fumanti di gente e di storie. Chilometri e sudore, odore di terra e folclore per un solo sol.
Divisioni, distinzioni, da sempre. I Cholo, quelli di montagna. Stanno in alto ma li guardano dall’alto in basso. I cittadini.
Chi conquista lascia segni. Di arte, di lingua, di credo, di gene.
Cittadini più alti, carnati più chiari. Belle le donne, forme abbondanti, sinuose intorno a bottoni sofferenti.
Montanari piccoli, il sole ha cotto la carne, la Terra piegato le
gambe. Per le donne la tradizione, sette gonne nascondono difetti e ciò che non
c’è. Riso e patate aiutano ma le proteine un miraggio.
Le galline poche, le mucche che mostrano le ossa, gli asini lavorano, niente
stracotto. Niente alpaca a colesterolo zero, un lusso pure la lana. Le sue carni
per i ristori, per la città. Pulisce le coscienze e le arterie, resta lo smog.
In montagna, nelle Pampas, le case di terra cruda, il bagno nel campo, i tetti di paglia. Niente ferri, niente abusi, o quasi. Comunità che resistono, famiglie che crescono. Nuovi bagni, fuori, scuole e
presidi sanitari per tutti. La risposta di governo profuma di nuovo, colorata tra la terra cruda. Dignità, accettazione nei volti, negli occhi scuri dei contadini. Anche sorrisi e lunghe trecce sotto cappelli di mille forme e di status. Da sposare o “casado”, da festa e da lavoro, di Huaraz, di Cuzco, di Tequile, a ognuno il suo. Una foto, forse. Un sol apre la fotocamera.
I bimbi corrono scalzi a tremila metri. Giocano a calcio a quattromila, tra i banchi di frutta, di berretti e di turisti. Li invitano a fare squadra. Loro annaspano, il mate di coca inganna, la quota no. Gli manca il fiato e i bimbi ci ridono.
Sono svegli. La strada insegna. L’alfabeto li avvia al commercio.
Babbo Marciano vende ghiaccioli, i figli in strada. Mi dicono il nome, gli dico il mio. Nino . Perplessi ripetono. In spagnolo esce Gnigno ..?… Si guardano. Bimbo? Ci prende in giro con i capelli grigi? Scuotono la testa, riprendono il gioco.
La strada è polverosa, Dominica è radiosa. Anziana, piccola, cholo. I denti, non so, le labbra sottili, una bocca che pare una lira disegna musiche per gli occhi lucenti. Armonia di volto andino davanti alla Bodega. La sua, piccola. Piccola è bella, ordinata. Bibite, gas telefoni e card, senza orario. Ogni Bodega un garage , una luce fioca, un punto di incontro.
Festa nazionale. Grandi parate, ogni capanna, ogni baracca una bandiera. Ai bimbi due settimane di festa. Sotto il loggiato radunano i compiti. Scalzi, nella polvere con matita e quaderno. Al mercato crescono di pratica e concetto. Sanno reggere chiosco e bodega e leggono il giornale. Tabelle alla mano, il cellulare ha da aspettare.
L’impatto è forte. Stordisce. Non è la quota . E’ la vita dalle tinte accese come i colori infiniti delle tipiche stole. Stanno al collo delle piccole donne o in diagonale sul petto.
Stanno a terra, con il telaio, con le donne. In ginocchio le filano, un mese.
Le stole arcobaleno portano mercanzie. Come le bodeghe, senza orario. Al mattino presto come nell’oscurità della sera. Altre portano bimbi. Le stole le portano solo le donne. Anche il sussidio condizionato portano. Uno per donna, non per famiglia. I bimbi a scuola in divisa di stato. Le donne sono il Perù! L’uomo sta nella terra o in terra, con la bottiglia.
Si parte, le montagne chiamano. Sette giorni, sette notti, il Santa Cruz, il Cammino.
Il fiume unisce valli incantate, cime imbiancate, cactus fioriti e Kenoal sfogliati. Il fiume ci guida, ci lava, governa. Noi e la flora, a quattromila, vivifica.
Llamacorral, Taullipampa, Haripampa, Cebollapampa, Alpamayo e lagune. Ogni giorno un campo. A sei asini il carico. Si monta e si smonta, si sale. Niente bagni nel mare ma nelle limpide ghiare. Le acque fredde per rianimare. Le cene frugali e regali. Con Abram cuoco gentile ci sono mate de coca, zuppe, trote, riso e patate. Quelle mai mancate, quattromilacinquecento varietà registrate.
Poi è tempo del Pisco. Il Nevado. Alle 17 cena, alle 24 colazione. Un nuovo giorno. Alla prima ora si parte. Si marcia nella morena infinita. Finisce lei, inizia lui, il ghiacciaio. Vestizione, concentrazione e riunione. Due mini cordate, un’unica traccia. Il sole sale e l’alba appare. Si aprono bocche. I denti azzurri dei crepacci affamati reclamano gli errori. Si saltano. Uno, due tre, quattro. Oltre c’è aria fredda, meno cinque fino alla vetta. Ore nove di domenica 2 di agosto. E’ inverno, qua. Ci siamo! 5760 metri sul livello del mare. Nessuna abbreviazione, nessuno sconto ai nostri passi.
Felicità e stupore, abbracci. Poi il silenzio. Ognuno per sé. Ognuno diverso, nei pensieri suoi. A chi a casa aspetta, a chi non c’è più, a chi voleva tu fossi. Così. Ma non immaginava quanto. Difficile trattenerla, l’emozione ti prende e ti libera. Ti prende e ti libera. Poi ti lascia. E l’ora di scendere. Il caldo apre le bocche dei voraci crepacci. Tempo di tornare. Il sole sale, ombre e profili lo seguono, noi anche e non si vede la fine. Il buio della notte inganna le distanze, il sole rende verità.
Il Rifugio Perù viene dopo il camino, gli ultimi cento metri dove si rischia il cammino. La Cuschena, ambrata o de trigo, nel boccale che aspetta sul tavolo. E’ festa! Chi sceglie il mate imbroglia le carte. Le stanchezze reclamano giustizia.
Le pagine di un tomo aprono la porta all’uomo. Nel rifugio, nella carta il mio cercare. Tredici ore di volo per trovare storie e non solo cartoline. Il viaggio prende corpo “…la meta, Itaca, ti sembrerà povera, ma tu sari ricco in esperienze…”
“Don Ugo De Censi, uno di noi”. L’Uomo del Mato Grosso. Un lecchese che fa storia. In Brasile, in Perù, in Italia. Lui, semplice, schietto, controcorrente, dall’Italia per scrivere la pagina buona del Cristo tra gli Inca. Ognuno che incontri la stessa risposta, affetto e devozione.
Leggo affascinato. Finalmente! C’è sempre una storia. Il viaggio è storie. Sapevo del Mato Grosso. Di amici volontari, di chi mi suonava il campanello per raccogliere fondi e materiali. Non molto altro sapevo.
Il Rifugio Perù è disegno italiano e mani locali. La mente è Don Ugo. L’ebbrezza Pisco si scioglie nell’ultima notte di campo. Pulviscolo di stelle e viscasce2 danzanti tra le rocce ci vegliano.
Inizia la discesa di buon mattino. Il colosso Huandoy, creste di ghiaccio vigilano nell’aurea ambrata. Si marcia per la Laguna. Il pensiero a don Ugo raccoglie testimoni. Dieci giovani sbuffanti portano assi e ramponi. Salgono e sudano. Immagino e colgo nel segno.
Bastone e carota. Volontari al lavoro per vincere la promessa, dare e avere, la salita al Pisco il premio. A chiudere Padre Daniele da Marradi e Alessandro dalla Ginestra. Un pezzo d’Italia per continuare. Don Ugo insegna. Penso a Marradi, Dino Campana riecheggia. I Canti Orifici. Chissà cosa “canterebbe” in Perù.
Salutiamo asini, cavalli, arreros, alpaca e lama. Si rientra a Huaraz.
Si scende, si balla. Buche e tornanti no limits. La velocità di crociera con il freno a mano tirato, i paesaggi reclamano attenzioni. Rigogliose colture oltre la gravità del Newton pensiero, le fioriture oltre l’immaginario. Incredibili questi infaticabili Cholo nel segno degli Inca.
Le montagne, eredità di equilibri. Le città, sedimentazioni di precarietà. Un’orogenesi di antropologie tettoniche.
L’ Impatto è forte. Ho visto tanto, troppo e ancora poco. Devo scrivere. Breve. Un racconto e un episodio. Chi chiede domanda energie, alimenta cammini. Poesie peruviane, il desiderio possibile. Chi cerca trova e continua a trovare quando non cerca ancora. Il treno è partito. Sliding doors su infinite stazioni.
Arequipa, la biblioteca, il suo centenario, la sua storia. Storia di nomi, di opere, di battaglie civili. L’albergo del Vescovo, la casa del poeta Melgar, storia della poesia. La casa di Melgar regala accoglienza. Alta come le rime. L’ antologia tra le mani, la richiesta fatta.
I contadini avanzano, le proteste proseguono. Una sosta allungata, un volo obbligato. Complicanze? La vera essenza. Nel cammino, lascia il certo per l’incerto e la storia si scrive, la trama si tesse, un nuovo capitolo.
Un’altra porta, un altro portone. Beatrix. Biologa. Dal Rima- Rima alle miniere prese di mira. Dalle peonie all’impatto ambientale. Don Ugo in mezzo. Beatrix sorella di Felix, la guida. Sette fratelli, quattro guide. Questo il presente. Una madre, poco padre. Una capanna, un pavimento di terra, il bagno fuori, la scuola con Don Ugo. L’ Università. Verso l’infinito e oltre e diciotto figliocci! Questo il passato.
Don Ugo alla fine, risparmia le forze. L’ultimo matrimonio per lei. Beatrix. La madre alla fine. Eredità di equilibri, in Natura, nell’uomo, nei cholo. Solidarietà, senso di comunità. Oggi due figliocci con Beatrix e famiglia. Di madre in figlia. Generazioni che passano per percorsi comuni. Scuola con Don Ugo, l’ Università. Una bella storia tra passato e futuro.
Huaraz. Hotel Ceasar, sala d’attesa. Nello schermo le Parapanamericane. Gioventù di Perù e Giamaica dietro un pallone. Gli scacchi rotolano, le maglie si agitano. Cerco la quadra. Un racconto breve che non è più, la storia al centro, un’immagine in copertina. Icona di passato e futuro.
Jose de San Martin, capitano peruviano. 1825. La natura lo ispira per la nuova bandiera. Rossa, bianco, rossa come fenicotteri in volo.
Ci sono quasi. Ancora poco. La Bandiera. Bella ma rigida, squadrata, simmetrica. Dall’alto in basso. Da destra verso sinistra. Equilibrata nei dettagli dell’idea, meno nel governo.
Cerco di meglio, nella scala dei grigi. Né bianco, né nero. Nel mezzo. In equilibrio tra visioni e menti diverse, la vera ricchezza.
Le immagini scorrono. Ce l’ho! La maglia del Perù. Una banda rossa, obliqua, dal cuore verso il fegato. Dalle gioie ai dolori di un popolo. La banda rossa, obliqua come la stola delle donne. Del Perù che porta peso e speranze. Rossa di passione e di sangue versato. Una banda rossa che lascia spazio. Bianco da colorare, da riempire, da vivere. Triangoli uguali e contrapposti come Montagna e città, Cholo e cittadini, Natura e cemento.
Triangolo destro, scudetto sul petto. Angolo acuto, piramide di orgoglio, bellezza e vertiginosa natura. Futuro sicuro.
Triangolo sinistro. Imbuto ricolmo di scelte in cerca d’aiuto. Gli Inca sono il passato che insegna. Il Don Ugo pensiero è il collante perfetto . L’Archimede teorema rammenta le matematiche per un futuro migliore. Nel cemento pochi vincono, molti affondano. In Natura vincono tutti.
Siamo a Lima. Finisce il viaggio, non il cammino. Scorrono il mare, lo stadio , gli slogan. “Lima 2019, tanto importante giocare nel campo come giocare fuori”. L’ultimo convivio in trattoria e scopriamo centro scommesse! Casualità, mah! Etica poca, qualità e prezzo per tutti. Io scommetto. Uno a zero per il popolo. Lima per tutti. Torno a casa, il Mato Grosso mi aspetta. Il Cammino prosegue! Ciao Perù. Viva i Blancarrojas!
Note
1 Alcade – sindaco
2 Viscasce – marmotte andine