Testo di Sandro Abruzzese e foto di Andrea Semplici
Quando migliaia di Bianchi uccisero altri Bianchi, quando disperati scavavano quotidianamente tra le macerie di Coventry, Dresda, Parigi; quando furono affamati e mostrarono volti emaciati e tetri e il loro sangue fu visto dello stesso colore di qualsiasi altro sangue; e la loro paura, quando il panico, l’umiliazione, la rabbia mista a quella paura, all’impotenza e alla disperazione, si fece largo tra le trincee e le linee della guerra più vasta e spietata mai organizzata da esseri umani; ebbene fu allora che i Neri arruolati nelle truppe coloniali francesi e inglesi scoprirono che il dolore non distingue tra razza e colore di pelle, che la morte accoglie e minaccia i vivi allo stesso modo. Lo rivendica Thomas Sankara, leader del Burkina Faso, nel famoso “discorso sul debito” all’Onu del 1984, nel riportare alla memoria l’apporto decisivo delle truppe africane per la liberazione dell’Europa dal nazifascismo: “Non possiamo pagare il debito perché al contrario gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno ripagare: il debito del sangue”, questo sostenne Sankara insieme a tante altre valide ragioni.
Ecco quando finì il dominio coloniale occidentale in Africa, proprio nel momento in cui gli europei mostrarono agli africani che non erano dominatori invincibili, che non sarebbe stato impossibile lottare per scacciarli e riprendersi il continente. Occorse un’immensa carneficina, una fiumana di scheletri, l’ossario edificato da ingegneri e strateghi, tecnici e impresari, per convincere i Neri d’Africa a riprendersi il loro continente. È Ryszard Kapuscinski, in Ebano, a rammentare quanto i movimenti indipendentisti africani debbano all’esperienza della seconda guerra mondiale. Essa scardinò vecchi complessi d’inferiorità e retaggi sapientemente costruiti dai colonialisti allo scopo di opprimere le colonie il più a lungo possibile, ricorda il reporter polacco. Quegli uomini bianchi che con la complicità di mercanti arabi e africani stessi erano stati dominatori spietati del continente africano dal XV secolo alla metà del XX secolo, ora versavano in ginocchio e le loro donne si prostituivano per fame, i loro bambini pregavano per il pane, loro stessi crepavano infermi nel gelo russo, negli agguati partigiani e nelle rappresaglie nazifasciste, nei gulag e nei campi di sterminio o sotto i bombardamenti. Il secondo conflitto mondiale provò alla coscienza africana, fiaccata da secoli di umiliazioni e soprusi, che la memoria poteva essere ricostruita e l’ingiustizia fermata. Inoltre, la Guerra Totale europea insegnò che ciò che è sempre accaduto può non accadere più. Gli africani vinti dalla Storia e convinti della loro inferiorità, poco dopo la guerra avrebbero finalmente messo in discussione il potere bianco, nonostante da secoli, puntuale come la luce del sole al mattino, esso si stagliasse alto e minaccioso sull’Africa nera.
Certo agli oppressori bianchi si sarebbero sostituiti i fratelli neri, e le potenze occidentali avrebbero fomentato ribellioni, corrotto dirigenti, finanziato guerre, dittature e genocidi. I Bianchi d’ora in poi avrebbero acquistato col denaro quello che non sarebbe stato più ottenuto attraverso la forza. Nasceva un’altra storia dei rapporti tra Africa e Occidente, un rapporto ancora attuale, che bisognerà continuare a raccontare.