Testo e foto di Diego Leandro Genna
Ho sempre desiderato inserire tra i personaggi di una mia storia un rabdomante e un ventriloquo. Sono due figure affascinanti ed enigmatiche. Rievocano altri tempi. Il rabdomante e il ventriloquo. Mi piace il suono delle parole stesse.
E quella sera, in un’antica caffetteria di Amman, mi si presentò l’occasione in un vassoio d’argento. In realtà sul vassoio ci vennero serviti dolcetti di miele e mandorle e the alla menta.
Io e Mara, eravamo in viaggio da una decina di giorni. Giordania. On the road. Luoghi leggendari. Arrivati nella capitale che era già buio lasciammo i bagagli in hotel e ci fiondammo nella prima caffetteria frequentata solo da locali. Prendemmo posto in un divanetto di stoffa, ordinammo, non c’era molta gente.
Un vecchio panciuto, seduto di fronte a noi, kefiah bianca e rossa un po’ scomposta sul capo, sembrava assorto nella sua shisha quando senza nemmeno guardarci disse “welcome”.
Eravamo abituati a quell’espressione di cordiale ospitalità, benvenuti, sempre, ovunque, welcome, parola che avevamo sentito più di ogni altra dal nostro arrivo, e così non fummo neanche tanto sorpresi. Ringraziammo.
-La prima volta in Giordania?- incalzò il vecchio che parlava un discreto inglese. Sì, rispondemmo.
A quel punto si ridestò sulla sua poltrona e tirò una lunga boccata. Sembrava il Brucaliffo. Solo un po’ più trasandato. Capimmo che aveva voglia di parlare.
Ci chiese quali posti avevamo visitato e noi facemmo l’elenco. Poi quali ci erano piaciuti di più e noi rispondemmo, senza esitazioni, Petra e il deserto di Wadi Rum.
-Io sono di quelle parti, sono cresciuto nel deserto, la mia famiglia vive ancora a Wadi Rum… Stranamente non ci chiese da che paese venivamo noi.
-Sono un beduino trapiantato in città- disse con un amaro sorriso.
Forti i beduini. Ricordano i marinai, solo che il loro è un mare di sabbia. Astuti e accoglienti, sempre con il sorriso, gentili, capaci di vivere con il minimo indispensabile, sempre a contatto con la natura, al ritmo di albe e tramonti grondanti di the. Saggi e pragmatici. Sono come dei rasta del deserto.
Io e Mara raccontammo di come eravamo stati accolti a Wadi Rum. Del camp dove avevamo dormito, della notte all’aperto, con il materasso sulla sabbia, le spesse coperte e le stelle cadenti a profusione.
-C’è una strana storia sul deserto di Wadi Rum- intervenne quasi stroncando il nostro entusiasmo. Fece una lunga pausa, aspirò una boccata e poi cominciò a parlare. Io e Mara zitti, ad ascoltare.
Disse di un’antica leggenda transitata sulle labbra di molte generazioni, una leggenda che aveva solcato le rotte dei beduini, li aveva seguiti nei periodici spostamenti, alimentato fuochi e guarnito pasti per secoli, viaggiando fino ad arrivare ai nostri giorni, nel presente, in quegli istanti. Narrava di un rabdomante e un ventriloquo. Non mi sembrava vero.
Si è sempre creduto che nel deserto, in qualche punto particolare e sconosciuto, vi fosse un’enorme riserva d’acqua. Un mare sottoterra.
Wadi Rum è un luogo unico al mondo. È chiamato anche Valle della Luna ma potrebbe essere Marte, Saturno, Solaris…
Tenera arenaria rosa, sottilissima sabbia salmone, tutti i colori del cammello. Ombre e orme. Granuli di vento. Forme nomadi.
Un deserto rossastro, costellato da massicci di pietra che sembrano geroglifici testamenti di titani. Rocce sciolte da ere roventi, colate di breccia che furono candele nella notte dei tempi.
Pietra come carne, pietra sanguinea, pelle straziata da sole ostinato e vento affilato. Canyon come ferite. Pietra come muscoli ossa tendini e cartilagine. Pietra come fossili di creature geologiche. Scheletri granitici, mummie di montagne.
Guardando quelle pareti rocciose pensavo a codici interstellari, circuiti, matrici e sensori minerali per comunicare con altre galassie, incastonate nella pietra da intelligenze extraterrestri.
Già, disse il vecchio, è proprio così, un posto unico. Il suo volto rugoso sembrava una di quelle rocce. Wadi Rum è un deserto incantevole, e come tutti i deserti è pieno di magia e di illusioni.
Restammo contraddetti da quell’ultima frase, io e Mara ci guardammo nella nube dolciastra che aleggiava nella caffetteria.
Il vecchio riprese la sua storia dicendo che i beduini, suoi antenati, fecero arrivare da un luogo lontano un famoso rabdomante, ché è sempre stata usanza rivolgersi ad esperti forestieri. E molto spesso una fregatura…
Io e Mara ridemmo, ci scambiammo uno sguardo complice, non capendo quanto di vero ci fosse in quella storia e quanto fosse a posto con le rotelle il vecchio di fronte a noi. Per celare l’imbarazzo bevemmo un sorso di the ancora bollente.
Così un bel giorno giunse un anziano signore, alto e rachitico, avvolto in un cumolo di stracci che gli arrivavano a malapena sopra le ginocchia, lasciando scoperte le esili gambe che sembravano così fragili da doversi spezzare da un momento all’altro. Venne accolto con la massima riverenza dai beduini, che gli offrirono cibo e dolci in quantità. Ma il vecchio rabdomante non mangiò quasi nulla a differenza del suo servo portatore che s’ingozzò in abbondanza.
Erano arrivati in cammello, da un remoto paese senza nome. Vennero sistemati in una tenda e sparirono fino all’alba del giorno successivo.
Il rabdomante, di poche parole, si mise subito al lavoro mentre il suo portatore spiegava ai beduini, un po’ increduli, di tenersi a dovuta distanza durante le ricerche del suo padrone. Girarono per ore e ore seguendo i passi dell’anziano che lasciava una scia come di lumaca con il suo attrezzo da lavoro, un bastoncino sottile quanto le sue gambe.
Il vecchio avanzava lentamente, in silenzio, senza mai voltarsi. Davanti a tutti. Alle sue spalle il portatore intratteneva i beduini e non la smetteva di parlare.
Il primo giorno non trovarono nulla. Il secondo nemmeno. Al terzo giorno i beduini stanchi di seguire il rabdomante nel suo vorticoso girare senza senso, e di ascoltare la voce petulante del servitore, cominciarono a mostrare segni d’insofferenza. Abbiate fede, rassicurava il portatore, se c’è dell’acqua nel raggio di migliaia di leghe, in questo deserto, il mio padrone la troverà. Ma anche quel giorno le ricerche non portarono a nulla. Al quarto giorno tra i beduini c’era chi cominciava a sospettare che era stato un errore disporre quel ben di dio di oro, raccolto tra le famiglie più potenti, come ricompensa per il vecchio, ma tanto non si sarebbero fatti fregare e se acqua non fosse stata non ne avrebbero tirato fuori nemmeno un grammo. Non erano mica scemi. Avrebbero rinunciato a una parte del loro patrimonio aurifero soltanto dopo aver trovato il giacimento d’acqua.
Ed è ciò che avvenne, perché a un certo punto, a ridosso di un alto costone roccioso, il vecchio si fermò e cominciò a tremare come in trance. I beduini lo potevano vedere da lontano, oscillare come una foglia e quando arrivarono al suo cospetto videro che aveva gli occhi ribaltati.
Fermi, ordinò il portatore, non toccatelo, e allungò le braccia per bloccare i beduini più curiosi. È qui, disse. Cercate di fare il massimo silenzio, abbassatevi e attaccate le orecchie al suolo.
Così fecero i beduini, con deferenza, si misero prima in ginocchio come in adorazione, stanchi ma pieni di speranza, quindi si piegarono fino a toccare con le orecchie per terra.
Ed era vero, l’acqua era lì, si poteva sentire un limpido gorgogliare in profondità. Avvertirono un fresco sollievo alla gola. Rimasero così per un bel po’ e quando fu chiaro a tutti che la missione era stata compiuta si sollevarono in urla di gioia.
Era fatta. Dovevano solo scavare. Avrebbero cominciato subito.
E così fecero, scavarono per giorni e giorni, e ad ogni metro che scavavano, il rabdomante e il suo portatore in sella al loro cammello carico di oro si allontanavano di migliaia di metri. E quando i beduini si accorsero di essere stati fregati, che non c’era nessuna riserva, nessuna vena d’acqua sotterranea, nemmeno una goccia, di loro si era persa ogni traccia.
-Fine della storia- concluse il vecchio portando il suo sarcastico sorriso sul beccuccio della shisha. Che significa? Come fine della storia? Ve lo starete chiedendo anche voi, come me e Mara in quella caffetteria. E il ventriloquo? Fu la domanda che rivolsi al vecchio. Non può finire così! Il ventriloquo dov’è in tutta questa storia? Ma nel porre la domanda, incrociando i suoi occhi che brillavano nella semi oscurità della sala, intuii che ero stato beffato anch’io.
-Non tutto è come appare, – disse il vecchio – e spesso i nostri sensi ci tradiscono. Il ventriloquo era il portatore, il finto servo che non appena i beduini furono tutti sdraiati per terra, con le orecchie affondate sulla sabbia, distratti delle aspettative, era entrato in gioco tirando fuori la sua arma segreta. L’arte dell’inganno.
Il suono dell’acqua in realtà proveniva da lui, e quel mormorio di freschezza, dentro la sua bocca immobile, dava voce alla sabbia facendo gorgogliare il deserto stesso.