Intervista di Valentina Cabiale

Andrea Loreni di mestiere fa il funambolo. Ha quaranta anni ed è il solo italiano che cammina a grandi altezze mettendo un passo dopo l’altro su un cavo d’acciaio. Ha compiuto passeggiate aeree sopra il Po (a dieci metri dalle acque del fiume, per cento venti metri), ha camminato sopra piazza della Signoria a Firenze e sospeso nell’interno della Mole Antonelliana a Torino ed è andato, a novanta metri di altezza, per duecentocinquanta metri (record nazionale) dalla rocca di Penna e alla guglia Billi, nell’Appennino romagnolo.

L’intervista è avvenuta accanto a quello che raccontano sia l’albero più antico di Torino: un gigantesco platano di sei metri e mezzo di circonferenza, piantato nel ‘700 nel parco della villa La Tesoriera. Non poteva esserci luogo migliore per immaginare linee tracciate in aria ed equilibri certamente possibili. Anche la vanità del rischio, qui, non sembra poi così vana. Nel camminare in alto c’è qualcosa, la sospensione (sospensione di chi guarda dalla terraferma) che avvicina quella passeggiata più a un gesto stanziale che a un movimento. Più a un platano che a un paracadutista, a un volo in parapendio o a un giocatore d’azzardo. La libertà dell’essere immobili  e del non avere tutte le scelte.

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Il tuo gesto, camminare su un filo sospeso, è ripetuto sempre uguale. Cambiano il luogo e il percorso, ma il gesto è sempre quello. Qual è la forza simbolica di quello che fai?

È sempre una camminata, sì, un gesto essenziale, ma dato che funziona, qualcosa deve significare. Penso che il primo simbolo sia proprio la camminata: partire, muoversi, lasciare indietro delle cose, ritrovarle al ritorno, e anche il rischio che uno si prende mettendosi in cammino. Lì sul cavo è più esplicito, ma tutti stiamo camminando, possiamo fingere di non prendere rischi o di stare fermi ma in verità ci muoviamo. L’essenza è proprio il movimento che è poi la vita, il cambiamento, il muoversi. Un altro aspetto simbolico può essere il volo, lo staccarsi da terra, l’uomo-uccello.

In una tua intervista hai parlato della “libertà degli alberi”. Mi spieghi questa libertà: quella degli alberi di essere ancorati al suolo, e quella del funambolo che non ha scelte, deve solo andare avanti?

 È una libertà ‘da’, non è libertà di fare questa o quella cosa. Sul cavo c’è un’unica cosa da fare, mettere un piede davanti all’altro. Sei libero da tutte le costruzioni mentali, libero dal fare la spesa, dai pensieri che ti contestualizzano in questo presente che io mal sopporto, dalla scelta di prendere questa o quella strada: sul cavo hai fatto una scelta all’inizio e non ne hai di ulteriori, non c’è un piano B. Tutta la parte razionale che ci spinge a fare sempre più cose per me non è un simbolo di libertà: è un peso. La camminata perfetta è quella dove sono sempre fermo perché ho trovato l’equilibrio, ma nello stesso tempo mi muovo. E’ un po’ quel che accade all’albero che è libero di crescere come vuole; il fatto che sia radicato non gli impedisce di sviluppare la sua ghianda e crescere. Anche il vento e la pioggia fanno parte dell’albero e del suo sviluppo. È la teoria di Hillmann della ghianda: l’anima sceglie dove incorporarsi per poter avere un percorso lungo il quale sviluppare la sua ghianda. Per arrivare a questo bisogna togliersi di dosso tutte le sovrastrutture che ci spingono a far altro. Quando non sono sul cavo sono fisicamente molto colpito dalla realtà, mi sento molto a disagio.

Questa è una delle cose che volevo chiederti: com’è, dopo ogni camminata, il ritorno sulla terraferma?

È abbastanza difficile. Alla fine di ogni esibizione esplode un groviglio di emozioni; il problema è tornare il lunedì a fare la spesa. Dopo che sei stato lassù e sei stato così libero non hai tanta voglia di prenderti di nuovo a carico la parte relativa del tuo essere. Tornare a casa, subire il ritorno delle identità è tanto più difficile quanto più impegnativa, bella e lunga è stata la traversata.

La camminata perfetta, dicevi, è quella dove sei fermo. Tu puoi rimanere immobile sul cavo per qualche istante o si perde subito l’equilibrio?

Sei completamente immobile solo se hai raggiunto l’equilibrio, ma quello dell’immobilità perfetta è un ideale. Per qualche attimo, sul cavo o altrove, puoi sentire quella perfezione, ma dura poco e devi saperla cogliere e godertela. Sul cavo posso rimanere fermo in un punto, ma continuo a cercare l’equilibrio muovendo il bilanciere e le caviglie. Non ho mai raggiunto l’equilibrio, altrimenti mi fermerei, sarei in ogni luogo.

Anche secondo te ‘la creatività è illegale?* E, se sì, cosa significa?

La creatività illegale destruttura e può far paura alle strutture sociali. La cosa spaventosa per il sistema è che la creatività ti fa vedere che c’è altro. Questo è poi anche un altro simbolo del cavo: puoi vedere una strada dove neanche immaginavi potesse esserci. Io per primo mi sorprendo: sono stato là dove, prima che iniziassi a guardare le città in un certo modo, neanche immaginavo che potesse esserci una strada, un cavo, una via dove camminare.

Cosa intendi con ‘guardare le città in un certo modo’?

Un giorno, a Torino, ho scoperto delle parti nuove in alcuni edifici che avevo visto e rivisto molte volte. Scoprii balconi, terrazzi, linee di tetti e mi resi conto che finora non avevo mai guardato le città dal basso verso l’alto, lassù rimaneva uno spazio di esplorazione nuovo. Capii che avevo alzato lo sguardo per vedere possibili linee da percorrere col cavo.

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Cosa ti fa paura?

Sprecare il tempo. Non fare le cose che potrei fare, perdere le opportunità, che poi è una fregatura perché ne perdo un sacco avendo paura di perderle… E poi mi fa paura – durante la traversata ho sempre paura – abbandonare la parte relativa di me, quella a cui dovrò tornare quado sarò a terra.

Non hai mai immaginato che il cavo si ribelli? Che abbia dei comportamenti che non saprai prevedere?

No, mai avuto incubi su ribellioni del cavo. Per me il cavo è vivo e quando è teso sotto i piedi riflette il mio stato. E’ nervoso se sono nervoso e quando respiro e riesco a calmarmi si acquieta anche lui.

Lassù ti senti solo? O non hai tempo e possibilità di percepire la solitudine?

La solitudine è uno di quei sentimenti molto forti che ci sono quasi sempre; era il sentimento dominante insieme alla paura, all’inizio. Quando il cestello che mi ha portato su, si allontana con il mio tecnico, mi sento solo. Alcune volte negli spettacoli più complicati ho pensato di mettere degli auricolari per rimanere in contatto con qualcuno, nel caso ci fossero stati problemi, luci sbagliate, ma alla fine ho pensato di no, dovevo vedermela da solo. Come artista, io devo aprirmi al pubblico. E la gente mi trasmette energia. Energia che è il silenzio. Il silenzio mi sostiene.

Non ti dà fastidio che una parte del pubblico venga ad assistere per il gusto morboso della possibilità di morte?

Sì, ce ne sono moltissimi che mi dicono: ma non sei mai caduto, era meglio se cadevi… E’ innegabile che ci sia questa attrazione dell’uomo per il sangue ma non è questo il punto su cui voglio lavorare. Il rischio mi interessa ma per me il tema non è la morte, nè la caduta.

Se cadi cosa succede? Hai delle corde di sicurezza?

Lavoro con una linea-vita, una corda di sicurezza, quindi nell’ipotesi di caduta rimarrei appeso. Ci sarebbe probabilmente una serie di traumi ma probabilmente non cadrei a terra. Mi è capitato anche di lavorare senza linea-vita, nelle situazioni in cui il cavo non era ad altezza molto grandi.

Spesso sul cavo cammini a piedi nudi: per necessità o per scelta?

Cammino a piedi nudi quando o piove e quindi il cavo è un po’  bagnato, o è inclinato. In questi casi le scarpette di cuoio scivolerebbero, mentre coi piedi nudi ho più presa sul cavo. Altrimenti uso le scarpette che proteggono il piede dal male e lasciano la sensibilità di sentire il cavo.

L’esibizione avviene anche se piove?

Finora è capitato un paio di volte e l’ho fatta lo stesso, un po’ perché erano grandi eventi e c’era molto gente, un po’ perché il rischio non era tanto grande. Un pericolo maggiore sarebbe il vento forte, ma finora non mi è ancora capitato.

C’è una parte del tuo corpo che fai fatica a controllare?

No, è abbastanza fisiologico che il corpo reagisca bene. Mi sono allenato per saper fare certi gesti tecnici: avvengono senza che debba comandare il corpo con il pensiero. Il pensiero non funzionerebbe, occorre l’istinto e l’esperienza. Il corpo ti mette in salvo più che la testa. Le ginocchia sono il mio punto di riferimento.

Un luogo in particolare che vorresti attraversare sospeso?

Da tre anni vado in Giappone. L’ultima volta per meditare. Ho visto un ponte, il più lungo ponte sospeso del mondo**. Mi piacerebbe camminare là. Ma ho nuovi progetti italiani e in California e in Olanda.

E il cavo che suona?

E’ un progetto artistico, uno spettacolo teatrale e musicale. Si chiama TRK#1 del gruppo nogravity4monks. Ci sono io e quattro musicisti. Un violoncello, una viola e due chitarre. Io suono il cavo. Che è amplificato. Uso i piedi. ***

Non fa differenza camminare sopra l’acqua o sopra la terraferma?

E’ più o meno è uguale. La prima volta che dovevo camminare sospeso sull’acqua mi sono chiesto come sarebbe stato, visto che l’acqua si muove. Ho imparato, però, a prendere riferimenti per l’equilibrio solo interni; dell’esterno, l’unica cosa che è sempre uguale è il cavo. L’acqua che scorre, posso evitare di guardarla. Quando lavoro di notte, ho le luci, per cui vedo due metri di cavo davanti a me e basta.

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* E’ il famoso slogan del funambolo Philippe Petit, la cui impresa più celebre – e “illegale” – fu, nel 1974, la camminata su un cavo metallico teso tra le Torri Gemelle del World Trade Center. E’ appena uscito in Italia il film “The Walk”, di Robert Zemeckis, che ne racconta la storia.

** E’ il ponte di Akashi-Kaikyō

***La fune d’acciaio ha un diametro di sedici millimetri è lunga sessanta metri. E’ la corda più lunga mai suonata al mondo

 

Per seguire Andrea Loreni: http://ilfunambolo.com/ ; https://camminarenelcielo.wordpress.com/