La linea di sguardo

Testo di Agostino Falconetti e Luisa Fazzini
Foto di Agostino Falconetti


Immaginiamo di essere i nodi di una rete emotiva. La rete dentro cui siamo è il tessuto che ci connette con il Tutto. Le emozioni che noi proviamo sono un passaggio di energia universale e una reazione chimica che nasce da un processo complesso che unisce quelle due parti che chiamiamo cervello e cuore.
Questo è il mio convincimento, molto personale, non necessariamente condivisibile, ma capace di dare risposta a tante domande che mi sono posta. Ne consegue dunque che noi siamo dei recettori. E dei recettori che rielaborano, reagendo al ricevuto.

Tutti i miei pensieri che seguono non hanno nessuna valenza oggettiva, ma discendono da una ricerca individuale magmatica, pluridirezionale, assolutamente libera. Da un sommarsi temporale di letture, esperienze e riflessioni per un risultato provvisorio di senso esistenziale ad uso personale.
Risposte esistenziali, attraverso le quali ho reinterpretato anche quella disciplina scolastica che nel tempo mi ha dimostrato il suo valore “di cerniera” universale come dichiarato nelle Indicazioni Nazionali per il curriculum: la geografia. Seguendo la mia matrice umanistica, il filo conduttore della mia ricerca in atto ė il culto della parola scritta, interpretata, immaginata.
I detentori della parola che restituisce la dimensione della relazione soggettiva con la complessità intrecciata e stratificata dei luoghi sono i viaggiatori. Recettori per eccellenza. Perché detentori del livello connotativo che destruttura e rinvia alla profondità e perchè inventori di parole e strutture linguistiche nuove per raccontare in modo diverso quanto hanno cominciato a sentire in modo diverso (Luisa).

Imparare a sentire. Fermarsi davanti a un paesaggio per scavare dentro la propria interiorità. Scomporre la visione in frammenti e comprendere la loro interezza.
Quante volte viaggiando ho svolto questo esercizio, rischiando di perdermi nell’Universo che avevo di fronte. L’Universo dell’Altrove e dell’Altro, quello ti porta nel cammino a manifestare l’esigenza di dialogare e di riflettere con te stesso. Qui la parola diventa il fondamentale testimone della sintonia empatica tra il viaggiatore e il mondo. La geografia interiore, cerniera esperienziale, tra fisico e spirito, tra la parola e il silenzio. E nel silenzio la parola diventa pensiero.
E allora? Nell’attimo in cui noi sappiamo leggere il mondo che ci circonda nella sua profondità, interroghiamo noi stessi. Quello che tu definisci “un sommarsi temporale per un risultato provvisorio di senso esistenziale ad uso personale.”
Da bambino sognavo il mio futuro sulle mappe. Con l’immaginazione scrivevo la mia storia personale di viaggiatore. Da adulto ho imparato a riconoscere i limiti e a ricondurre quell’immaginazione in un perimetro che la vita e gli impegni impongono. Per fortuna ho viaggiato tanto. Recuperando la gioia di conoscere e sognare. Cercando di comprendere nuove realtà e allargando le mie visioni. Trovando la mia connessione col mondo attraverso lo sguardo che va oltre. L’affascinante scoperta che fa comprendere al viaggiatore “la complessità intrecciata e stratificata dei luoghi”. E di se stesso (Agostino).

Kapuscinski definisce il viaggiatore un traduttore, un interprete che traduce da una cultura a un’altra. Perché un viaggiatore non descrive, ma rende comprensibile ciò che è lontano con parole usuali che si compongono in un modo diverso dal comunicare quotidiano, in strutture la cui architettura segue quella dello spirito dei luoghi che incontra. Un viaggiatore è anche un poeta perché nel suo sforzo di traduzione deve abbandonare il semplice livello denotativo della pagina di una guida turistica per entrare in quello connotativo in cui “scomporre la visione in frammenti e comprendere la loro interezza”. Un viaggiatore alla fine è anche uno scrittore, quando decide di incantare la memoria col suo racconto del fascino dell’Altro e dell’Altrove.
Perchè il viaggiatore sente in modo scomposto come un poeta, analizza i singoli elementi come un traduttore in cerca di corrispondenze di significato tra l’esperienza vissuta e l’anima e narra come uno scrittore, perché la scoperta ė incontenibile e va comunicata per pacificare l’impeto emotivo.
E quindi non so se è il viaggiatore a scegliere le parole o se sono loro a scegliere lui. Credo che lui sia un nesso recettore che si colma di un’alterità interpretativa di tale energia emotiva che non possa che fuoriuscire perché la percezione del Tutto, anche se parziale, non si contiene.
Dunque il viaggiatore cerca le parole o sono loro che lo trovano? (Luisa)

Il viaggiatore conosce l’importanza delle parole. È lui a trovarle nel viaggio per poi “incantare la memoria”. Con le parole il viaggio non finisce mai. I ricordi continuano a viaggiare sul treno dei racconti.
Per sempre. La parola rinasce ogni volta che viviamo il piacere di essere ascoltati. Le emozioni del viaggiatore diventano in quel momento parola espressa, veicolo di esperienza che arriva all’Altro e fa proseguire il viaggio. Kapuscinski diceva che “il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati”.
Il viaggiatore sa che le sue parole sono la chiave per aprire quelle porte oltre le quali si può “tradurre la corrispondenza di significato tra l’esperienza vissuta e l’anima”. Se serve, con la poesia.La parola deve esprimere la cura nella descrizione del genius loci colto, dell’umanità incontrata e della cultura percepita e sperimentata.
Il viaggiatore deve essere sincero. Non nascondere intenzioni. Deve aprirsi alla verità, anche se è difficile raccontare le proprie emozioni o le intime debolezze. Solo così la parola è efficace. Solo così i frammenti del reale si ricompongono in una unità unica ed irripetibile (Agostino).

La domanda che mi pongo è: “Perché?”. Perché costringere la propria intimità a svelarsi, a palesarsi chiaramente senza schermi a chiunque, su un pezzo di carta o su una pagina on line?
Perchè un viaggiatore sente il bisogno di incantare la memoria? Non è solo per prolungare il viaggio da fermo. Gli basterebbe ripartire e riaprire quel circolo di percezioni intellettive ed emotive per tenersi vivo. Perché dunque mi chiedo la necessità di una tappa di comunicazione, che va oltre l’Io, lo disvela o forse lo viola, perché tutti a quel punto conosceranno la privata relazione stabilita tra il soggetto e i luoghi.
Io credo in un ruolo sociale del viaggiatore, che supera l’edonistico piacere individuale del far vibrare l’anima in connessione con il Tutto. Io credo che, quando si comprende, si senta il necessario obbligo di dire quello che si è visto, di fronte a tanta dilagante miopia di spostamento che profana i luoghi e li svilisce in un razzolare di massa senza preparazione, in cui è la capacità di spesa a consacrare il viaggio e il selfie a documentarlo.
Per questo ti ho chiesto dell’origine delle tue parole. Perché il viaggiatore scrive in modo diverso dalle pagine di una guida turistica. Per me chi parte solo con il linguaggio della guida, trasporta il suo sguardo quotidiano e non vede, se non il riflesso della sua cultura. Un viaggio si prepara per tempo, non solo nelle tappe, che comunque possono anche essere casuali, ma nello spirito. Bisogna concedersi il lusso del tempo della lettura di memorie di chi è nato in quei luoghi o di chi li ha sentiti attraversandoli.
Per questo ora ti chiedo qual è il senso sociale del raccontare un viaggio. Perchè io penso che solo la comprensione dei luoghi possa salvare la Bellezza e l’Uomo con essa.
Perché io ho la convinzione che in tutto questo ci sia un senso. Una linea di sguardo sull’orizzonte che traccia una direzione per l’anima. Nei nostri viaggi ho visto come osservi verso l’infinito. E lì ho compreso. (Luisa)

Continuando a viaggiare si accumulano infinite esperienze. Non si è più come prima. Allontanarsi è un modo per essere diversi da quello che si è. Allontanarsi dalla consuetudine ti stacca dal tuo Io di dove vivi e ti porta in direzioni sconosciute. Forse vicine all’anima.
Il nostro tempo ha mutato la figura sociale del viaggiatore. Ora viene data a tutti la possibilità di raggiungere qualsiasi luogo. Ma sei un falso viaggiatore se non hai la sensibilità di trasmettere ciò che hai colto. Ora è facile raggiungere una meta, ma prevale molto spesso lo scopo esibizionistico che svilisce, come scrivi tu, il senso del viaggio. Deve esserci l’aspettativa e la ricerca del non conosciuto, l’incontro conl’Altrove e con l’Altro. Ma se non scavi dentro di te per cercare il senso di un luogo al ritorno il tuo vissuto sarà un elenco di nomi e di posti destinati all’oblio.
“Qual è il senso sociale nel raccontare un viaggio?”
Prima di tutto devi raccontarlo a te stesso. Un viaggio non si misura in termini chilometrici perché ogni luogo ti può dare la possibilità di ridefinire la tua visione del mondo. Deve aiutarti a capire cosa c’è dentro di te e dentro quel posto. Un luogo può far cambiare il nostro stato d’animo: può emozionare.
Il senso sociale del viaggio nel racconto è tale quando assume valenza educativa. Il viaggio è una finestra emotiva della nostra vita che ci cambia. Che permette di poter crescere intellettualmente. E’ iniziazione, è acquisire autonomie, è raccogliere esperienze. Raccontare è trasmettere passioni, arricchire l’Altro. Ci fa “insegnare” l’importanza dell’esercizio dell’anima nella linea di sguardo, nell’osservare terre sconosciute e trasformazioni umane. Oppure più semplicemente borghi o città vicine rese dense di significato dalla loro Bellezza (Agostino).

Viaggiare è mutare la linea di sguardo e l’energia che si raccoglie nella comprensione è quella che spinge alla narrazione per condurre lo sguardo altrui sullo stesso skyline spirituale.
Questo noi lo abbiamo compreso e condiviso in una mescolanza di esperienze di viaggio e di letture. Per arrivare dove? Al punto di inizio: se il nostro lavoro è crescere insieme con i ragazzi, non si può non “raccontare” la geografia, rendendola spazio infinito di futuri viaggiatori di terre e di anima affinchè siano donne e uomini in connessione con la meraviglia del Tutto. Così è nata “Geografica” (Luisa).