Testo e foto di Luisa Fazzini e Agostino Falconetti
Esiste uno scollamento sconcertante nella didattica quotidiana tra la geografia e il viaggio. Dalle risposte degli studenti la prima “serve”, il secondo “piace”. Distanza incomprensibile perché la geografia è la somma di tutto quello che io posso sperimentare viaggiando. Il dato induce dunque a una riflessione alla ricerca dell’anello di congiunzione. Come fare per avvicinare la geografia al viaggio? Come fare a traslare il piacere nello studio? (Luisa)
Se c’è un’esperienza in cui è impossibile separare la geografia dalla conoscenza dei luoghi è il viaggio.
Siamo abituati a esercitare nello studio geografico la percezione oggettiva, scientifica e inevitabile. È così. Nel viaggio invece la percezione soggettiva diviene il filtro delle conoscenze che si acquisiscono. E tutto diventa storia, personale o collettiva, raccontata o sottaciuta, composta di spazio e di tempo, di aggettivi e di sensazioni. Nel viaggio emerge una percezione nuova nell’istante in cui nostri occhi divengono diversi, più profondi, più disposti a capire, più veloci a spostarsi nel ricercare o nel rifiutare un’immagine. La percezione scompone il viaggio in frammenti, unici, nostri e irripetibili. Nel viaggio le percezioni presentano quel carattere di irripetibilità di cui sono costellate le strade della nostra esistenza. Se in un contesto abitudinario o libresco il risultato è sempre lo stesso, nel viaggio la percezione muta per l’emozione dell’ignoto, del primo sguardo su una terra sconosciuta, per le splendide occasioni di scoperta dei luoghi.
Un luogo infatti può risultare indefinito o neutro, ma non sarà mai “impercettibile”. In modi più o meno consapevoli, a volte anche indimenticabili, ogni viaggio può donare passaggi in luoghi che diventeranno nodi significativi nelle nostre storie. Orizzonti di senso sul treno di esperienze che viaggia sui binari della nostra vita.
La percezione nel viaggio non è solo vedere ma è sentire. Cogliere a pelle, entrare in contatto con l’ambiente e la sua atmosfera. La percezione diventa così epidermica. Sentire l’aria sfiorarci, afferrare l’essenza delle cose, far tesoro di ogni istante, fermarsi e far entrare lo spirito di un luogo nel pensiero, nella conoscenza, nell’emozione.
Come in “Hey Jude” dei Beatles: “Remember to let her under your skin, then you’ll begin to make it better”. È quando lasci entrare il pensiero sotto la pelle, nel corpo, che poi puoi renderlo migliore.
Così la percezione diventa irresistibile. (Agostino)
Quando prendo in mano il libro di geografia so che dentro c’è tutto questo che tu racconti. Eppure non si vede. Schiacciato da un’impostazione razionale e univoca. Invece io in classe voglio “educare” alla percezione soggettiva, nel convincimento che l’integrazione dell’analisi dei dati oggettivi con un apprendimento emozionale favorisca la costruzione della visione geografica, perché ciò che sentiamo, lo interpretiamo e quindi lo ricordiamo come nostro. E quello che è nostro entra nel vissuto ed è più semplice, anzi immediato, parlare poi coi ragazzi di valore della Bellezza del Pianeta e della sua conservazione.
Al centro la lente di analisi è la percezione del paesaggio come viene declinata nella Convenzione Europea. Come svilupparla? Attorno a esperienze di immagini. Quali? Considerato che noi guardiamo e fissiamo quello che ci colpisce, scarto a priori documentari istituzionali e algidi e cerco in youtube. Il video mi deve incuriosire, deve essere un po’ come fare un viaggio, un voltare l’angolo e restare con la bocca aperta. Invece che cominciare dall’elenco dei confini, che sono la morte della curiosità, presento uno Stato con qualche breve video, di quelli giusti, on the road, con protagonisti giovani, di quelli che un libro non metterebbe mai. I ragazzi seguono, ridono, chiedono. Viaggiano. Hanno visto. Si sono immersi spontaneamente nella diversità che ora andremo a sezionare in argomenti precisi nello studio.
Oppure semplicemente plano su una foto satellitare per vedere dal vero e mentre io indico i miei studenti leggono e cerchiano i toponimi relativi sulla carta fisica. Sempre e comunque prima guardiamo. Poi studiamo.
Un passaggio continuo tra il reale e il codificato, nella consapevolezza che sono necessari entrambi per conoscere il mondo. I ragazzi stessi posso creare confronti tra i luoghi con ricerche di immagini e di informazioni. Il libro resta. È il punto di riferimento, il filtro delle intuizioni, delle congetture, della ricerca di dati, ma arriva dopo. Dopo l’immersione immaginifica. Dopo la percezione individuale. La sistematizza, la organizza. Non la sostituisce mai.
Così la percezione diventa irresistibile perché è lo spazio in cui lo studente può esprimersi. Così la geografia diviene esercizio di formulazione di un pensiero in cui la mia soggettività si incontra e si confronta con la conoscenza. Così saprò già che il mondo è il mio luogo bellissimo. Da tutelare, da amare, da viaggiare (Luisa)