Testo di Francesca Cappelli
Riconosciamo Mario Dondero oltre l’estetica nel significato profondo delle sue fotografie. Le immagini, uniche nella loro naturalezza, ci rendono indietro il suo sguardo, il ‘come’ il fotografo sia, il suo occhio empatico, di antropologo ad honorem. Considerato uno dei più importanti protagonisti del fotogiornalismo internazionale, Mario Dondero lavora da sessanta anni con la stessa curiosa umiltà, con un forte impegno etico e civile, d’altri tempi, nella scelta della fotografia come tramite per presentarsi agli altri, per dialogare con gli uomini e vivere in maniera sorprendente. Il lavoro fotografico di Dondero è preziosa testimonianza, unica immagine di ciò che può resistere al tempo, un documento visivo che appaga il suo, il nostro, bisogno di verità.
In 250 scatti, esposti nelle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano, a Roma, fino al 22 Marzo 2015, in una cornice grandiosa, ci racconta come la sua vita si è incrociata con la storia. Diviso in quattro sezioni, il percorso di visita della rassegna comincia con una serie di immagini che spiegano “La nascita di una vocazione”, plasmata dall’ammirazione per Robert Capa, dalla frequentazione di altri fotografi e intellettuali nella sua Milano, dal trasferimento, nel ’54, nella cosmopolita Parigi. Segue “La passione per la politica e la storia”, in cui racconta la guerra algero-marocchina, il processo di Panagoulis, le trasformazioni che si producono nell’Italia e Francia degli anni ’60 e ’70. Nella terza sezione, “Verso il mondo”, a essere immortalati sono i venti di guerra a Cuba, in Brasile, in Cambogia, in Africa; gli affascinanti incontri con artisti straordinari, con un’umanità semplice e ritrovata. L’ultima parte della rassegna fotografica, intitolata “La grande svolta”, è un racconto sincero degli anni che ci attraversano, dalla caduta del muro di Berlino fino a oggi.
Dondero continua a raccontare la vita con sincerità e lealtà, come aveva fatto Kapuscinski, come proviamo a fare noi di Erodoto108, convinti che nel giornalismo non deve esserci cinismo, ma “amore per la gente”.