… Reggiolo, Moglia, Concordia sulla Secchia
Testo e fotografie di Sandro Abruzzese
Solco una strada in mezzo alla pianura, mi capita spesso negli ultimi anni. Lascio la trappola della A22 del Brennero al casello di Reggiolo, sono nella provincia di Reggio Emilia e mi dirigo ad est. Al mattino scorgo una pianura emiliana suggestiva che mi fa pensare a Luigi Ghirri e al suo tema “dell’accesso al mondo esterno, del guardare attraverso”. Il paesaggio, attraverso le sue soglie, i cancelli, le porte che aprono alle distese di terra, dà ordine allo sguardo, suggerisce una visione del mondo, e finisce per rubare tutta la mia attenzione. Mi ridesto con dentro ancora la voglia di abbandonare l’auto e infilare un campo aperto senza meta, fino a diventare un punto lontano tra le cose.
Poco oltre, sulla soglia di quasi ogni casa di campagna noto dei bambini indiani con le loro mamme, aspettano che la corriera li porti a scuola. Avevo letto del reclutamento massiccio di indiani da parte dei produttori del formaggio per la cura delle mucche da latte, ma oggi vedo i volti e gli abiti di un altro mondo. Se fosse un racconto, piuttosto che la vita, direi che l’autore ha scelto lo straniamento, invece sono miracoli della terra del parmigiano reggiano.
Proseguo e lambisco il comune di Moglia, mi accorgo di essere finito nell’oltrepò mantovano, quindi nell’estremo lembo meridionale della Lombardia che sposa l’Emilia davanti ai miei occhi, senza tesitmoni. La strada diventa tortuosa e segue gli argini del fiume Secchia, che prima d’ora avevo sentito solo per quella bizzarra opera del Tassoni intitolata La Secchia rapita. A Moglia scopro che esiste un museo a cielo aperto costituito da almeno quattordici chilometri di percorsi ciclo-pedonali sugli argini dei numerosi canali di bonifica e della Secchia. Mi ripropongo di tornarci e sostare alla trattoria che prende il nome dal fiume a cui, separata dall’argine, quasi si appoggia.
Una pausa. Pochi chilometri e sono di nuovo in Emilia, stavolta a Concordia sulla Secchia, uno degli ultimi paesi del modenese. Attraverso il fiume e nonostante i 35 gradi all’ombra scendo dall’auto e inizio a vagare attirato dagli ingenti danni causati dai terremoti del 2012. Mi chiedo dove sia nato il chitarrista Maurizio Solieri, cresciuto in queste strade, ma il caldo ottunde qualsiasi curiosità.
A parte due gelaterie, la città è vuota, ormai sono le sei del pomeriggio, e il centro storico ha l’aria di un reduce aggrappato alla sua stampella. Ogni palazzo puntellato porta le iniziali dei vigili del fuoco che l’hanno messo in sicurezza, ci sono le sigle di molta Italia addossate alle ferite.
Entro in un cantiere spostando le transenne e per gli operai dell’est europeo che lavorano alla ricostruzione non esisto, la mia sicurezza non è un loro problema, osservano senza vedere, uno di loro emette un peto che sa di liberazione, io scivolo verso l’argine uscendo dalla zona proibita.
Passeggiando in mezzo alla città è chiaro cosa significhi il sisma per le imprese edilizie del Paese, annoto la provenienza delle ditte: Mantova, Carpi, Padova, Modena, Bologna, ecc., intanto ricordo la risata dell’imprenditore Piscicelli alla notizia che L’Aquila era crollata addosso ai suoi ottantamila cittadini.
Chiedo a una signora dove siano finiti i negozi, dove sia la gente, e lei mi indirizza in una zona nuova costruita più lontano dal fiume. Ritrovo i ragazzi che giocano a calcio e quelli che seguono l’oratorio, il comune e la chiesa nuovi di zecca, e un quartiere di containers di un grigiore degno del terremoto dell’Irpinia. A pochi metri spuntano anche le attività commerciali, raggruppate in uno spiazzo asfaltato, fatto di casette in legno stile mercatini di natale.
Questo itinerario mi sta insegnando ad amare la pianura. Corre sul limite attraverso due regioni, oltrepassa cinque province e ben quattro fiumi. E alterna rettilinei e curve a ridosso degli argini che seguono l’acqua, facendomi sentire una specie di funambolo che usa il confine come una corda, sempre sull’orlo, pronto a cambiare direzione alla prima oscillazione.
Mentre lascio alle spalle Concordia sulla Secchia, immagino che in passato la paura della natura in queste lande fosse caduta sempre dal cielo. Dal nero gravido arrivava l’acqua che ingrossava le vene della terra, e i fiumi esondavano dando forma ai peggiori incubi della gente. Le alluvioni.
Invece il 20 e 29 maggio la paura è sorta all’improvviso dalla terra, in due giornate assolate che avevano il coraggio di anticipare l’estate, si è capovolto un mondo.
Non resta che proseguire verso il centese, dalle terre piane a quelle d’acqua…
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