Testo di Angela Mori | Foto di Stefano Petroli
Lettere dal Giappone è un progetto letterario e fotografico che vede come protagonista Angela Mori in un taccuino “a puntate” in cui emergono piccole impressioni, scene e storie di viaggio attraverso la terra del sol Levante. “Sentimenti” è il suo quinto racconto per Erodoto108.
Chissa’ che cosa avranno detto.
Ho provato a cogliere piu’ dagli sguardi degli spettatori seduti accanto a me piuttosto che dai movimenti degli attori sul palco, il significato della rappresentazione teatrale di quella forma d’arte che e’ il kabuki.
Gia’ vedere un teatro esaurito alle undici di mattina per uno spettacolo che dura fino alle sei del pomeriggio da’ da pensare. Soprattutto considerando anche che, per comprare i biglietti all’ultimo momento, bisogna mettersi in fila almeno un’ora prima.
Sono stata fortunata. Sono riuscita anche a trovare posto a sedere.
Sembra strano, ma al teatro Shinbashi Enbujo di Tokyo, si consente anche ad un certo numero di persone di assistere allo spettacolo in piedi, tanta e’ la richiesta.
Ho assistito a due atti e per due ore ho cercato di afferrare il senso di quello che ai miei occhi di occidentale risulta essere una forma d’arte piuttosto incomprensibile.
L’immobilismo e il tono enfatico della recitazione sono le cose che mi hanno colpito di piu’. Ma ancor di piu’ e’ stato sentire alcuni spettatori che a volte interagivano con la scena, “rispondendo” agli attori. O almeno a me dava quest’impressione.
C’e’ qualcosa di ipnotico nella rappresentazione teatrale del kabuki. Qualcosa che paradossalmente lo accomuna a quella forma di ipnotismo di cui i giapponesi sembrano essere vittime quando sono seduti davanti alle macchinette del “pachinko” e che li tiene incollati ore ed ore a far saltare quelle biglie di metallo, che producono un rumore assordante, nella speranza di vincere qualcosa.
Il primo giorno che sono arrivata a Tokyo, entrando in una sala “pachinko” ho avvertito un senso di alienazione che il rumore e la musica al massimo volume, rendevano ancora piu’ allucinante.
Sono uscita dopo due minuti con l’udito a pezzi.
Ieri quando sono ritornata nuovamente a Tokyo, sono andata a Shibuya, cuore pulsante della citta’, e sono rientrata in una sala “pachinko” perche’ volevo provare a giocare.
Non ce l’ho fatta.
Ho resistito cinque minuti e cioe’ il tempo necessario per leggere il regolamento che uno dei ragazzi addetti alla sala mi aveva mostrato.
Ho salutato e me ne sono andata.
Alla stazione Kita Akabane, vicina all’ostello dove alloggio, c’e’ un’altra sala “Pachinko”. Ieri sera, tornando, mi sono messa a guardare da fuori, le persone al suo interno.
La mia attenzione e’ stata catturata da una signora, molto composta, davanti a una delle centinaia di macchinette.
Probabilmente ad un certo momento il meccanismo si e’ inceppato e la biglie non giravano piu’.
La signora ha cominciato a tirare pugni alla macchinetta e ad inveire con rabbia.
E’ stata la prima volta, in queste tre settimane, che ho visto un giapponese mostrare pubblicamente dei sentimenti.
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