Viaggiando si scrive. Si prende spunto. Cartoline? Forse.
Testo e foto di Tommaso Chimenti
Cammini, il sole a picco e aumenti il passo per rintanarti dentro la tua ombra fresca. Ma quella si sposta. E allora, via dopo via, palme con la frangia come scolarette e carretti con cavalli stanchi e paraocchi, chiese bianche e sacchetti dell’immondizia mezzi aperti, marciapiedi che sono trappole e sgambetti per caviglie in fallo. Devi guardare a terra, non le stelle, non le nuvole, che poi, comunque, non le troveresti. E poi segui le scritte, le lettere sbilenche su quest’intonaco che cade a morsi. Le scritte che sono ironia e verità miscelate, dove si trova la familiarità e uno specchio e spaccato di società. Tre parole per aprire gli occhi, per far capire la bellezza, la spada, la ferita del Sud, il suo succo d’agrumi che punge nelle pupille, il sale che brucia. Bastano tre parole di sarcasmo abbagliante per far emergere la difficoltà, il sapore antico, l’arrangiarsi, il non cedere davanti alla miseria.
Ci passi la mano sopra a queste mura, setacciare la polvere è piacevole, c’è uno scorrimento che sembra burro ruvido sui calli, sui polpastrelli. E ferito dal sole ti avvii, ti intrufoli, ti senti portare, trasportare come calamita non sai bene dove, ma cammini da un mercato all’altro, da un banco colorato popolato di gente indaffarata, le buste celesti gonfie, il vento che fa volare vesti appese. Palermo è un mercato a cielo aperto, di mani, di occhi, di gambe svelte. E sono sorrisi avamposti di pelli scure e bruciate come di quelle candide e bianchissime, i capelli nerissimi o quelli rossi. Le piante intanto se ne fregano e nascono, verdissime, tra le pietre incuranti.