Testo e foto di Andrea Semplici.

Le parole come coincidenze. Vado a vedere Piazza Garibaldi. Un bel film senza distribuzione di Davide Ferrario: è un on the road italiano. Ferrario segue le tracce lasciate dai Mille in camicia rossa: da Bergamo, città del regista, fino in Sicilia. Poi risale la penisola. E, a un certo punto, lascia lì una breve frase di Umberto Saba, il malinconico poeta triestino:‘Gli italiani sono l’unico popolo, credo, che, alla base della loro storia, abbiano un fratricidio’. La coincidenza è che, in quello stesso pomeriggio, ero davanti all’antica porta della libreria Umberto Saba a Trieste.

Via San Niccolò, strada elegante del centro di una delle più belle città italiane. C’è una statua del poeta che sta camminando verso la sua bottega. Memoria di Trieste. Altrove camminano James Joyce e Italo Svevo.

Nello sfolgorio di caffè e negozi del lusso la differenza della libreria Saba obbliga a rallentare i passi. C’è ancora la libreria. Mi ero spaventato vedendo un negozio vicino sbarrato da assi di legno. Sapevo che, negli ultimi mesi, erano corse voci della sua chiusura. Anni fa avevo già conosciuto il ‘solido pessimismo’ di Mario Cerne, 72 anni, il figlio del primo commesso di Umberto Saba. Ricordo Mario: sommerso dai libri accatastati sugli scaffali novecenteschi. Questo pomeriggio sbuca da dietro colonne di libri. Quasi stupito da qualcuno entri in libreria. ‘Domenica c’era la Barcolana qua a Trieste – mi dice subito – Avevo preparato una vetrina con carte nautiche e libri preziosi di barche. Non si è visto nessuno’.

Ascolto, ma cerco di nascondere la mia piccola felicità: la libreria è aperta, Cerne è sempre in battaglia con il mondo, ma la sovrintendenza ha finalmente ‘vincolato’ ‘la scrivania del poeta, la macchina da scrivere, le schede del catalogo, gli scaffali, l’insegna, i cataloghi storici, i quaderni degli acquisti’. Questo luogo non si perderà. Guardo l’insegna dorata, so che ha un riflesso sulla più celebre delle foto di Umberto Saba: il poeta cammina, leggermente incurvato, appoggiandosi a un bastone, in una strada di Roma, con lo sguardo sornione, la pipa in bocca, un berretto in testa. Il fotografo è rimasto sconosciuto.

Torno nel pomeriggio. Aspetto. Vedo arrivare Mario Cerne. Azzardo: cammina con il passo che fu di Saba. Mi regala un inchino. E un nero, un caffè normale a Trieste. Ecco, sono pronto: posso affrontare la malinconia del libraio.

Il palazzo della libreria appartiene alla comunità ebraica. Da qualche parte ho letto che l’affitto della libreria è di mille e cento euro al mese. Non chiedo se sia vero. Forse questo locale, costruito ai primi del ‘900 e oggi invaso dalla bellezza confusa dei libri, era un magazzino. Certamente, nel 1914, era già la libreria Mayländer. Da otto anni James Joyce non abitava più nella casa della porta accanto. Umberto Poli (Saba era il nome che si scelse), nel primo dopoguerra, lavorava nel cinema di suo cognato. Nel 1919 la libreria fu messa in vendita. Saba esitò: ‘Non voglio passare la mia vita in un antro scuro’, avrebbe confidato agli amici. Cambiò idea. Scrivere era già una sorta di terapia contro il pessimismo. Forse avrebbero potuto esserlo anche i libri. Grazie a un’eredità, comprò la libreria e la chiamò ‘antica e moderna’. Cinque anni più tardi, si presentò un ragazzo di diciassette anni. Cercava un lavoro. Divenne il mulo della libreria. Era Carlo Carletto Cerne, il padre di Mario.

Umberto Saba e Carletto Cerne (dalla pagina facebook dell'associazione librai antiquari)

Carlo Cerne salverà la libreria negli anni delle leggi razziali. Saba era ebreo e non poteva conservare la ‘bottega’. Doveva fuggire. Solo alla fine del fascismo, tornò a Trieste. Carlo, allora, divenne socio del poeta. ‘Saba aveva un carattere poco socievole. Da ragazzo non mi facevo vedere molto in libreria – ricorda Mario – Ma era un uomo generoso. Faceva il libraio a suo modo: apprezzava solo chi gli era simpatico. Era capace di cacciar via clienti dalla libreria. Altre volte regalava libri all’insaputa di mio padre’.

Umberto Saba muore nel 1957. La figlia Linuccia rimane a Roma. Carletto acquista la quota del poeta. Il giovane commesso è diventato un eccellente libraio: quattro volte all’anno pubblica cataloghi che invia in tutt’Italia. Il figlio Mario comincia a lavorare in libreria nel 1960. A 19 anni. Ha passato più di mezzo secolo in questo piccolo ‘antro scuro’, sovraffollato di libri. Carlo Cerne muore nel 1981. ‘Capii che era giunta la sua fine quando non mi chiese più nessuna notizia dei libri’, dice Mario.

Non credo che nemmeno lui sappia quanti libri ci siano in questa piccola stanza-labirinto che si attorciglia su se stessa. Gli scaffali vanno da terra al soffitto. Tutto sembra precario. Sul punto di crollare. I tavoli sono sepolti sotto i libri. La muraglia di carta fa una giravolta ancorandosi ad una colonna di marmo. Non riesco a fare un passo. Il pavimento cigola: è legno del 1907. Entrano due persone distratte, alcuni turisti fanno un passo solo per scattare una foto. Sono state attirate dall’aria diversa di questo luogo. Ne escono in fretta. Mario si adombra: ‘Almeno un saluto. Non c’è più curiosità. Non c’è tempo per i libri. Oggi vi è solo velocità. Anche lei sta guardando l’orologio perché ha un treno. Ora si cerca tutto su internet o su wikipedia’. Temo che mi cacci, non oso confessargli che quanto scriverò finirà nel vuoto troppo pieno del web. So che ha fatto un tentativo di catalogazione elettronica dei libri: si è spezzato l’hard-disk.  So che qui dentro, da qualche parte, vi è un libro stampato a Venezia nel 1484. E’ in bella vista (e incomprensibile se non ti viene spiegato), invece, una edizione microcalligrafica della Divina Commedia. Raccolta tutta in una pagina. Foto e ritratti di Saba sono appesi ai libri. Piccole statuine sono in posa accanto all’edizione giapponese delle sue poesie.

Mario Cerne è un custode malinconico. Pensa che Trieste non abbia fatto molto per il suo poeta. Io lo vedo come un uomo solitario. A differenza di Saba, non ha voluto un commesso. Però, nel tempo passato con lui, ho visto che salutava molte delle persone che passavano davanti alla libreria. Alcuni si fermavano per chiacchierare. Vedo una bella testardaggine nell’aver tenuto in vita la libreria: ‘Dovevo farlo. Per Saba. Per mio padre’. La figlia di Mario vive a Londra. Non tornerà a Trieste. Non chiedo del futuro a Mario. Allargherebbe le braccia e direbbe:‘No, questo è un paese senza futuro’. E mi racconterebbe le mille ragioni per le quali non dà molte speranza alla libreria.

 

Posso dire? Non ci crede nemmeno lui. O, almeno, questo è quello che voglio pensare. La sua è una libreria ostinata. Ha retto a guerre e modernità. E’ andata contro tutte le regole del mercato. Troverà il mondo di continuare a vivere per altri cento anni. Io ne amo il disordine, il caos, la confusione. Persino la polvere. Mi appare qualcosa di vero rispetto ai book-store patinati. So che qui si possono trovare tesori dimenticati. Mi piace la contraddizione di questa bottega fra i luccichii di via San Niccolò.

Trieste, 18 ottobre

La Libreria Antiquaria Umberto Saba è in Via San Nicolò, 30, a Trieste.

Aperta dalle 9 alle 12.30/dalle 16 alle 19.30 (chiusa al lunedì). Tel. 040.631741. Non c’è un sito internet, ma una mail sì: mario.cerne@iol.it

 

Umberto Saba