Testo e fotografie di Andrea Semplici

Marsiglia non è una città per turisti. Non c’è niente da vedere. La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Qui, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Solo allora, ciò che c’è da vedere, si lascia vedere.

Vieux Port Vieux Port

Ecco l’ho scritto. Anzi l’ho copiato: l’aveva scritto Jean Claude. Nel suo primo libro noir. E io non ho trovato avvio migliore per raccontare un viaggio in questa città di luce e di vento. Perché, come in un romanzo (e Marsiglia ti vuole obbligare a scrivere: se non ci riesci hai solo voglia di un pastis dopo l’altro per annegarci impossibilità da marinaio), mi è sembrato un paradosso straordinario: questo è un articolo per una rivista di turismo, vogliamo che chi lo legge si incuriosisca al punto da prendere un treno (o una nave: nelle città-porto si dovrebbe arrivare solo dal mare) per venire a passeggiare sulle banchine del Vieux Port o fra i vicoli del Panier, il vecchio quartiere dei portuali italiani e corsi. Cosa penserebbe di noi Jean Claude Izzo, la nostra guida immaginaria e concreta, scrittore di culto che, in soli tre anni, fra il 1995 e il 1998, ci ha regalato tre superbi noir che hanno il sapore del Mediterraneo?

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I libri di Izzo sono lo specchio romantico e guascone di una città: ci conducono, passo dopo passo, odore dopo odore, sapore dopo sapore, nel cuore di Marsiglia. E non c’è niente da fare: se solo alzi lo sguardo e ti fai sorprendere dalla sua luce, se, con gli occhi, scivoli sui riflessi degli alberi delle barche nella darsena del Vieux Port, rimani impigliato in questa città. Come un pesce nelle reti che i pescatori marsigliesi gettano al largo dell’arcipelago delle isole Frioul. Ora capisco fino in fondo Cèzanne: il grande pittore, non riusciva a vivere lontano dai colori ‘stupefacenti’ dell’Estaque, confine settentrionale della baia di Marsiglia. Non credo più che sia un caso che Rimbaud, arso di Africa, sia venuto a morire in questa città. Qui, complice la limpidezza dei cieli spazzati dal mistral, diventi davvero un uomo dalle ‘suole di piombo’, rimani prigioniero della bellezza di Marsiglia e dei suoi labirinti disperati e vitali che Izzo costruisce attorno a Fabio Montale, lo sbirro, figlio, come lui, di emigrati italiani, il protagonista dei suoi libri.

‘La Marsiglia di mio padre è nostalgica. E’ quella della sua gioventù, dei vecchi italiani, della solidarietà fra esiliati. Oggi questa Marsiglia è quasi scomparsa – mi dice con un sorriso gentile Sebastien Izzo, 35 anni, il figlio di Jean Claude – Ma qui ci sono belle isole di resistenza che ancora sopravvivono’. Siamo seduti al piccolo bar dei Treize Coins, una delle frontiere fra il quartiere del Panier e il resto della città. Qui, a un passo, c’è il commissariato dove lavorava Fabio Montale. E il bar, con le sue sedie gialle e i suoi affreschi da graffitari degni di Andy Warhol alle pareti, appare immutato dai tempi dei passaggi di Jean Claude. A Fabio Montale suo padre aveva detto: ‘Se hai cuore, puoi solo trovare’. E allora, come esploratori della nostalgia mediterranea, perché non cercare di scoprire una Marsiglia del cuore? In fondo, non passi mai per caso da questa città: ci devi venire e se solo scendi dalla nave e metti un piede a terra, se solo cammini per i mercati meticci des Capucins, se solo annusi il sapore di ‘aglio, menta e basilico’ di rue d’Aubagne o se solo ti fai sorprendere dal tramonto di fronte ai palazzi del Quai della Rive-Neuve, puoi anche decidere che sei arrivato alla fine del tuo viaggio. Qui è possibile l’unica, vera ‘utopia del mondo’: a Marsiglia, sono d’accordo con Izzo, chiunque può arrivare e dire: ‘Ci sono. E’ casa mia’.

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‘Di fronte al mare la felicità è un’idea semplice’

Quando il sole sta per svanire salgo sul piccolo ferry che allaccia le due banchine del Vieux Port. Una traversata di cinque minuti. E’ un momento perfetto: le facciate delle case del Quai de Rive Neuve sono un arcobaleno sfacciato, arrossano con le sfumature del rosa, dell’ocra, dell’arancio profondo, si incendiano minuto dopo minuto e, alle loro spalle, fa da sfondo sublime un cielo blu elettrico. Il mistral fa volare le nuvole. In alto, fra rocce bianche, la grande chiesa di Notre Dame de la Garde, la ‘madre’ di Marsiglia, sorveglia la sua città. ‘Era splendido – scrive Jean Claude – E ne avevo bisogno. Di aggrapparmi a questi momenti di bellezza’. Ecco, il mondo ha bisogno di Marsiglia. Del suo Mediterraneo.

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I focesi, marinai greci dell’Anatolia, vennero da questo ‘mare minore’. Duemila e seicento anni fa. Il fiordo in cui approdarono era molto di più che un riparo: era un luogo superbo per credere in un nuovo futuro. Qui gli occhi di Protis, un giovane greco, incrociarono lo sguardo di Gyptis, figlia di un capo celto-ligure, prima popolazione di questa costa di scogli bianchi. La ragazza gli porse una coppa d’acqua. Il marinaio e la principessa. Marsiglia nacque così: da un amore creolo e mediterraneo. Era questo il suo destino. Divenne una città-porto, approdo per migranti, fuggitivi, esiliati di ogni storia. ‘Marsiglia è un passaporto’, scrive Jean Claude. Chi meglio di lui può dirlo? Figlio di un italiano, di un uomo del Sud, e di una donna spagnola, cresciuta nel quartiere del Panier, scrive di sé stesso: ‘Sono un mezzosangue’. Come quasi chiunque altro a Marsiglia. Sette marsigliesi su dieci non sono di origine francese. Nel mio viaggio fra i bar del Panier e le strade di Belle de Mai, altro antico quartiere italiano, ho intervistato uomini e donne che si chiamano Rossi, Scotto, Mazzarino, Garibaldi, Petrucci. A un napoletano, Vincent Scotto, hanno perfino eretto una statua in place aux Huiles: fu lui ad inventare, negli anni ’30, l’operetta marsigliese. Mi avvicino ai campanelli di una casa di rue du Petit Puits, vicolo celebre del Panier: i nomi sono Boubaker, Trani, Lazzaretti. Candidati contrapposti alle ultime elezioni francesi qui si chiamavano Mennucci, Sportiello, Miloud Boualem. Armeni, italiani, ebrei sefarditi, corsi, sono stati le comunità-fondamenta di questa città. E poi, a Marsiglia, oggi vivono trecentomila maghrebini. Altrettanti abitanti sono arrivati dell’Africa nera. I comoriani, da soli, sono centomila. ‘Ventimiglia, gridava l’autista dell’autobus non appena si arrivava alla fermata della Belle de Mai – ricorda Robert Rossi, 50 anni, figlio di un muratore toscano, cantante dei Quartiers Nord, gruppo che ha ricostruito, in chiave rock, proprio l’antica operetta marsigliese – Ogni quartiere qui era, e spesso è ancora, un paese’. Marsiglia è un mosaico di centoundici paesi. Ognuno con la sua piazza, la sua chiesa (ora con la sua moschea), i suoi bar, le sue feste, il suo orgoglio.

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E’ il Mediterraneo ad aver creato Marsiglia. Qui non sei in Francia: sei in una repubblica a parte, in una città meticcia e ribelle. Pensate: alla fine del ‘600, Luigi XIV° ordinò la costruzione di un forte sull’ultimo bastione del porto. I suoi cannoni non furono puntati contro possibili invasori, ma tenevano sotto tiro la città. E Marsiglia, ancor oggi, ci prova a resistere a chi sta cercando di farle cambiar pelle. ‘Lotta contro sé stessa, questa città – avverte Serge Scotto, 42 anni, altro scrittore di noir – Non vuole diventare un salotto buono, non vuole perdere l’anima’. ‘I marsigliesi sono lenti, pigri, languidi’, mi dice Robert Rossi. Nei giorni di festa, donne con il velo siedono sugli scogli bianchi della costa dei Calanques. Ragazze creole dai capelli lunghi e ricci, e dai seni dritti, una razza ‘che fiorisce a Marsiglia meglio che altrove’, esuberanti nella loro sfolgorante bellezza, si tuffano in mare a un passo dalla famiglia algerina. Una barca di pescatori attraversa, con lentezza, lo stretto delle Croisettes, punta estrema della baia marsigliese verso Sud. ‘Quando non si ha niente, avere il mare, il Mediterraneo, è molto’.

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Si sta bene nel bar di Hassan

La Plaine, oltre i mercati des Capucins, è il quartiere della bohemia marsigliese. Si attraversa un ponte in ferro, si salgono scale, assieme a ragazzini arabi e africani, per arrivare fino a qua. Bar, ristoranti, teatrini, vecchie e preziose librerie, molta Africa, molti musicisti di strada. I muri, qui, sono tele per i ragazzi dei graffiti e degli affreschi. I giovani scrittori si siedono ai tavoli dei caffè di cours Julien e cercano ispirazioni fra un vino rosato e una musica balcanica. Cantastorie dai lunghi capelli recitano all’ombra di un albero, ragazzetti rom si tuffano, sbruffoni e spavaldi, nella fontana della piazza-viale. Si va ancora più avanti, ancora più in alto, verso la collina di Marsiglia. I confini, qui, sono impercettibili, ma netti, immediati: in piazza Jean Jaurés finisce la bohemia ed inizia un quartiere popolare. Donne africane e donne arabe siedono su panchine contrapposte. I figli si guardano con diffidente curiosità. A quest’ora, pomeriggio avanzato, Hassan, 54 anni, marsigliese figlio di Algeri, è certamente dietro al bancone del bar de Maraichers. Indossa una camicia a fiori, lo sguardo è vivace, ironico, astuto. La foto di Jacques Brel, di Brassens e Leo Ferrè è ancora appesa in un angolo. L’algerino ascolta solo musica francese. Qui i clienti sono amici: entrano, vengono rassicurati dai grandi baffi di Hassan, gli danno la mano, si baciano sulle guance e poi si ordina une pression, un vino bianco, un pastis. Si passano le ore da Hassan. A cercare di cambiare il mondo. Ascoltando la voce roca di Leo Ferrè: ‘Oh, Marsiglia, si direbbe che il mare abbia pianto…’. ‘Ero io che venivo da Hassan – ammette Sebastien Izzo – Avevo diciassette anni e ci passavo serate intere. Ho portato qui mio padre. Lui e Hassan si sono annusati e piaciuti. Così il bar è diventato il preferito di Fabio Montale’. Hassan sorride: ‘Qui non è ancora cambiato niente da quei tempi’. Il bar non ha orari: apre al pomeriggio e chiude quando l’ultimo cliente cade dal sonno. Un buon posto per i vagabondi di Marsiglia.

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Marsiglia ha il sapore dell’aglio

In questa città si va di bar in bar, di musica in musica, di cibo in cibo. Come in ogni noir mediterraneo che si rispetti. Tutti gli incontri del nostro viaggio avvengono al tavolo di un caffè, oppure attorno a sardine arrostite o a trionfi di ostriche e cozze. Rap, raggamuffin, operette rock si contendono la scena musicale delle strade di Marsiglia. Il rap è storia delle periferie: qui i ragazzi che si agitano sono neri. Il ragga dei Massilia Sound System è roba per bianchi. Izzo deve molto alla musica di questi ragazzi oramai cinquantenni, band storica della città: i titoli dei suoi libri, Total chéops e Chourmo, sono brani di questo complesso marsigliese. Jali Mazzarino, 47 anni, cantante dei Massilia, figlio di emigrati siciliani, arriva al bar Geppetto, in cours Julien, con lo sguardo severo e accigliato. Da duro. Da militante. Da uomo del palcoscenico. A Marsiglia si parla ad alta voce. Che tutti ascoltino. ‘Noi siamo occitanisti. Non amiamo Parigi. Adoriamo Marsiglia: era una città formidabile, vi è sbarcato il mondo intero. Sul porto c’erano bar con mille tavoli. Per questo qui si scrivono romanzi: c’erano i docks, il mistral, i marinai, i traffici’. Chourmo, titolo del più bello dei libri di Izzo, è parola marsigliese: sta per ciurma, sono i rematori di una nave galera. Tutti a remare. Per uscirne fuori assieme. Per ‘immischiarsi’ l’uno dell’altro. E’ la vecchia solidarietà della gente del porto. ‘Ma ora non è più tempo di nostalgie – dice Mazzarino – E’ tempo di riconquistare questa città. Di rivivere i suoi tempi gloriosi. Di darsi da fare. Per la dignità di essere fedeli alla propria gioventù’. I ragazzi occitani venerano i Massilia Sound System. E, fra di loro si salutano, dicendosi aioli. Più matti e irridenti di così! Una salsa di aglio e uova, una maionese provenzale, è il simbolo della ribellione dell’identità marsigliese. Ma del resto, come ogni buon scrittore di noir, Jean Claude ama mangiare, ama ‘sentirsi vibrare Marsiglia sotto la lingua’. I suoi cibi sono ‘selvaggi e volgari’. Cucinati nelle trattorie familiari del porto. Ce ne sono ancora nei vicoli della città. No, non appaiono nelle guide, non sempre la loro cucina è eccezionale, ma ‘un giorno arriverà qualcosa di meraviglioso’ in questi bistrot. Fabio Montale, sulla sua terrazza di fronte al Mediterraneo, cucina spigole, assaggia salse agliate (e bacia ragazze che sanno di aglio) e tortini di acciughe, si inebria per i ripieni della verdura arrosto, compone inni al basilico e alla menta, si inginocchia davanti alla bouillabaisse marsigliese.

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Alla fine Fabio Montale, stanco di guerre, torna a casa. Viaggia per la Corniche meridionale. Sfiora le spiagge, le baie, gli anfratti e gli infiniti porticcioli dei quartieri-paese di Marsiglia. Fino al penultimo gruppo di case prima delle rocce delle Calanques. Les Goudes è un incanto. Due stanze sul mare. In faccia al Grande Blu. Un barca ormeggiata otto gradini più in basso. Le storie di Izzo, le storie del suo sbirro troppo romantico, finiscono, nel bene e nel male, nelle acque del Mediterraneo. Fabio ha finito il suo lavoro, Jean Claude il suo libro. Afferrano una bottiglia di Lagavulin, prendono giubbotti e coperte, indossano berretti da pescatore e poi, con passi tranquilli, scendono verso la barca. Escono ‘a remi, per non fare rumore’. E, assieme, dal mare, lo sbirro e lo scrittore, guardano, ancora una volta, con nuovo stupore, la bellezza di Marsiglia. ‘Città in armonia’ con i loro cuori.

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