Testo di Piera Ruffini, foto di Margherita La Meg e Ferdinando Pi
Esistono luoghi che hanno il potere di far accadere delle cose, cose meravigliose che aprono terrazze al mondo liberando i confini e generando una colonna sonora universale.
Di tutti i luoghi, di tutte le musiche.
E’ un rito consacrato negli anni quello del cielo di luglio che dà il suo benvenuto ad una melodia gentile, nostalgica, raffinata, ma al contempo coraggiosa ed energica. Sono armonie, ritmi e timbri che avvampano tra i vicoli di piccole e sconosciute comunità in compagnia di una luna che non ha voglia di commuovere e che si presta a sorridere.
Nel cuore di una vallata ignota ai più, tra colline che arrossiscono alla vista del vicino mare e delle montagne amiche, tre suggestivi borghi ospitano il Montepulciano Blues Festival d’Abruzzo, una rassegna che, giunta ormai alla sua decima edizione, delizia le orecchie ed il palato e restituisce l’eco dell’essere collettività.
Le colline rigogliose di vigneti e di buon vino si trovano in Val Vibrata, in uno spicchio settentrionale abruzzese in cui lussureggia il re Montepulciano, vibrante come il nome del bacino da cui proviene.
Tra un brindisi ed un brano ci si avvia ad uno spettacolo di incanto, si sale (senza ascensore) sul belvedere sublime del mondo e si assiste alla grandiosa rappresentazione di anime che suonano alla porta delle comuni emozioni, delle collegiali vertigini. Nomi rimbombanti del blues d’autore, come Sax Gordon, A. J. Forest, Uli Jon Roth (ex chitarrista degli Scorpions), Linda Valori, Eugenio Finardi, Roberto Ciotti, Otis Taylor, solo alcuni di quelli che in questi nove anni si sono affacciati dal poggio astrale, hanno garantito ai presenti ubriacature di bellezza.
Merito della passione intensa e viscerale degli organizzatori del Festival che hanno confluito nell’associazione musicale “Frank Zappa” nata a Torano Nuovo (il più minuscolo dei tre centri del teramano ad accogliere la manifestazione), raccolti a disarmare la pigrizia dell’intelletto e ad orchestrare il desiderio partecipato di colorare un territorio, rendendolo sentimentalmente blues.
Un riflesso antico d’amore, un movimento che annuncia, tremante, un “altrove” futuro e possibile che sappia dare dignità a geografie dimenticate sotto l’ascendenza della calda e avvolgente musica.
In un paese che non conferisce un equo nutrimento alla cultura, all’arte, alla fantasia, le opportunità, se non sono un miraggio, sono di sicuro faticose, specie in queste località laterali, periferiche. Ma ecco che il dono e la cura della comunità fabbricano oggetti del museo della condivisione per Merino, Presidente dell’associazione, e per Gianfranco, l’Ingegnere del blues, il suo vice, venuto a mancare lo scorso ottobre.
In quel dialogo interiore che conduce alla coscienza di sé e ad edificare i pilastri dei ponti che ci congiungono agli altri, entrambi hanno consentito che le ristrette disponibilità economiche si trasformassero in accorgimenti, che una luce si infiltrasse nelle terre bagnate dal buon vino, che il silenzio di quel vento divenisse sinfonia.
Un fiore accanto ai palcoscenici di questo anno in omaggio all’Ingegnere ed un’ostia masticata in nome dello splendore del piccolo che diventa grande, internazionale. Il piccolo, colmo di dolcezza e di coraggio, che sicuramente seguiterà a suonare blues come su una porzione di paradiso, perché la musica è risorsa di tutti, soprattutto se al sapore di Montepulciano.