Fotografie di Elisa Modesti | Testo di Federico Rauseo
Dopo essere scesi alla stazione di Napoli centrale portiamo di fretta e furia i bagagli all’albergo per non perdere neanche un minuto di quelle poche giornate a nostra disposizione. Non ricordavo niente. Mi sembrava tutto nuovo, eppure era l’ennesima volta che tornavo in quella città. Posso dire di esserci stato, fino ad oggi, in tutte le fasi della mia crescita, ma quel giorno non ricordavo niente, vuoto assoluto, buio totale. Ci affidiamo alle mappe sparse per la città, sperando di capirci qualcosa al più presto.
Dopo aver passato la statua di Garibaldi che imponente s’innalza nell’omonima piazza, decidiamo di dirigerci verso il porto, perché la giornata è piena di sole e noi abbiamo voglia del mare. Per strada diamo occhiate in qua e in là, scorgendo di tanto in tanto tre ruote pieni di frutta. “usanza tipica delle mie zone”, le dico,
“qui la frutta si vende così, costa anche poco”. Se ne accorge subito quando legge “Banan’ n’ € a chil”, chiedendosi dapprima cosa ci fosse scritto e poi come fosse possibile.
Le dico che non c’è tempo e continuiamo la nostra camminata.
Arriviamo al porto ma ancora non riusciamo a scorgere il mare, i cantieri della metropolitana ci ostruiscono la vista. Decidiamo quindi di fare una bella passeggiata sul lungomare. Arriviamo ad un castello situato sul mare che ormai è già buio, nonostante siano solo le 17:30. Non importa. Questo castello emana una luce propria che ci permette di guardarlo in ogni suo dettagliato e ci chiediamo come ogni singola pietra sia stata posta l’una sopra l’altra per creare una meraviglia di tale portata. Ancora incoscienti del fatto che quello fosse il Maschio Angioino continuiamo la nostra camminata per il porto, fino ad arrivare ai quartieri più rinomati e costosi. Sul mare si può scorgere il Castel dell’Ovo e di fronte via Partenope, la strada più ricca di tutta Napoli. Camminiamo e camminiamo, il nostro obbiettivo è la piazza principale: Piazza del Plebiscito.
Entrando in via Toledo hai la sensazione che qualcuno ti spii e che non sia più Napoli questa strada. Grandi firme contornano le vetrate, la gente a passo lento si ferma a comprare questo o quello, il gelato più caro della città oppure il babà che contiene più rum, la giacca firmata oppure una cena al ristorante più caro. Ignari del fatto che presto ci saremmo ritrovati faccia a faccia con la vera Napoli entriamo in piazza Plebiscito. Iniziano a brillarmi gli occhi, perché troppo maestosa e troppo incantevole. Lei scatta foto a destra e a sinistra e al centro, alla statua di Carlo III e alla spada di Ferdinando I, alle arcate che percorrono tutta la piazza e alla Basilica in cui queste s’incontrano; io sono rimasto immobile, senza fiato per poter parlare e con un bagliore accecante negli occhi. “Torniamo indietro?” mi chiede lei, come se stesse cercando qualcosa in particolare. “Hai delle preferenze su ciò che vuoi vedere ora?” le rispondo, e lei, convinta delle sue idee, “si, seguimi”. Torniamo indietro. In via Toledo, questa lunghissima strada della falsa felicità, si affacciano numerosi vicoli dall’aspetto lugubre che solo il giorno dopo avremmo scoperto essere i Quartieri Spagnoli. Entriamo proprio in uno di questi vicoli. L’aria si asciuga, le persone parlano più sotto voce e, più vai in su, più ti accorgi che in realtà la strada in fondo, quella con le vetrine luccicanti e la gente in festa, è la maschera della vera Napoli. Qui, in questi vicoli, regna la miseria. Non esistono regole. La gente ti guarda, ti scruta, osserva i tuoi piccoli gesti, vuole capire da dove vieni ma soprattutto dove sei diretto.
I bambini contornano ogni angolo con un supersantos, il classico pallone arancione che dal Lazio in giù trovi in ogni dove, con cui giocano per ore e ore e ore. Le mamme dai balconi stendono i panni ad asciugare, fino al termine dell’orizzonte scorgi miriadi di vestiti stesi, sembra stiano aspettando qualcuno che torni a prenderli. Intanto le strade si fanno sempre più strette, ma questo non toglie l’esclusiva a motociclisti di accelerare, ad ogni angolo rischiamo di essere sorpresi da qualche pazzo che sfreccia a 100 all’ora.
Il degrado non lo percepisci e basta qui, lo puoi leggere nei muri. Su ognuno c’è scritta una frase di denuncia, come “via la merda da qui” oppure “i nostri bambini, liberi di giocare quando e come gli pare”.
Sarò sincero, non avevo mai visto una cosa del genere, e mai avrei pensato di farlo. Le case dismesse, che si reggono in piedi grazie alla forza di volontà delle famiglie; ogni tanto, in qua e in là, trovi buchi di spari nei muri, immondizia ovunque cammini, gente sospettosa, zero regole, zero di zero.
Ho pensato al perché tenere nascosta la vera faccia della città dietro una strada le cui fondamenta sono menzogna e fantasia, ho riflettuto guardando quei bambini giocare a pallone con gli occhi pieni di speranza per un futuro migliore, ho guardato le mamme scrutare l’orizzonte alla ricerca del bello, ho sperato che i ragazzi come me avessero più fortuna. Poi sono arrivato alla soluzione: questa è Napoli, non puoi cambiare niente di questa città, il degrado ha ormai raggiunto il punto di perfezione, da cui è impossibile far ritorno.”
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