Testo e foto  di Giulia Usai

Sarajevo. Poco lontano dalla Moschea di Careva Džamija, camminando lungo le stradine che si dipanano parallelamente e perpendicolarmente al fiume Miljacka, nel quartiere di Bistrik si trova la chiesa cattolica di Sant’Antonio da Padova. L’edificio sorge accanto al birrificio Sarajevsko, fabbrica storica fondata nel 1864, e si distingue per le pareti dipinte di rosso acceso e il campanile turchese, ispirato a linee architettoniche di gusto protestante.
Sul piazzale del sagrato siede il guardiano della struttura e commesso dell’adiacente negozietto di articoli religiosi, un trentenne timido e di origine croata. Accetta di parlare, ma non di farsi fotografare, e iniziamo la conversazione poggiati alla balaustra bianca che delimita il cortile della costruzione. È una giornata di sole, e il tepore a poco a poco ne scioglie il portamento rigido, rivelando uno spirito riflessivo e gentile.

Con quale spirito convivono oggi le quattro religioni praticate a Sarajevo?
Io sono cattolico, e la maggior parte dei miei amici musulmani. C’è sempre stato un grande rispetto tra Cattolicesimo e Islam qui in città, e anche tra Cristianesimo Ortodosso e altre religioni, prima della guerra. Adesso però è diverso. Continuo a frequentare amici musulmani, ma pochi serbi ortodossi. Molti se ne sono andati durante e dopo l’assedio, e quelli che ci sono spesso non si mescolano a membri di altri culti, sono diventati troppo orgogliosi della propria appartenenza culturale. Ormai Sarajevo è una città pericolosa, con molta criminalità (è facile essere scippati, ad esempio), e tutti questi problemi sono nati dopo la guerra, quando da altre città e paesi sono venuti a vivere musulmani in fuga dal conflitto in Bosnia e musulmani stranieri, e l’equilibrio sul quale si reggeva la coesistenza è crollato.

E quale pensi sia la ragione?
La ragione è che tanti si sono irrigiditi sulle proprie posizioni, e Sarajevo non è più la città multiculturale di prima. Dopo lo scioglimento della Jugoslavia l’appartenenza religiosa è diventata troppo importante, e il risultato è che non c’è più l’armonia di un tempo. Stanno arrivando molti musulmani dalla Turchia, dall’Arabia Saudita, a costruire e stabilire relazioni economiche e di altro tipo a Sarajevo, e in tanti si identificano con l’Islam prima che con altri aspetti culturali che abbiamo in comune, ad esempio. Con i miei amici musulmani di sempre questi problemi non ci sono, durante la guerra ci nascondevamo insieme dalle bombe. Anche qui, per un mese, dentro al birrificio della Sarajevsko.

In quanto cattolico, ti scontri con pregiudizi?
Come ho detto, con i musulmani che frequento non ho mai avuto problemi. Però ho spesso incontrato rigidità da parte dei serbi ortodossi. Da parte mia non c’è nessun pregiudizio, anche la chiesa di Sant’Antonio da Padova è frequentata da persone di diverse religioni, non solo cattolici.

Come pensi si evolverà la situazione religiosa in Bosnia in futuro?
Non lo so, molto dipende dall’atteggiamento delle persone verso la coesistenza. Se non si è disposti a vedere il multiculturalismo di Sarajevo, e si è convinti di essere gli unici dalla parte della ragione, è difficile prevedere un futuro positivo. Ma noi che siamo nati a Sarajevo, e che ci siamo da prima che le cose si mettessero male, continuiamo a vivere nel rispetto e nell’amicizia.