Testo di Giulia Usai, foto di Stefanos Iliopoulos
Sarajevo, un ventennio dopo la guerra e l’assedio, è una città complessa, un risultato di conseguenze storiche, politiche e sociali che hanno portato a un equilibrio diverso, meno europeo e più levantino. È un luogo che ha instaurato un legame speciale con la Turchia, in memoria di un passato comune, ed è una realtà urbana in crescita dove a finanziare i nuovi progetti architettonici sono soprattutto i Paesi del Golfo. Ma la capitale della Bosnia resta una città di frontiera e di incontro, nella quale quattro culti religiosi condividono una quotidianità precaria dai risvolti sfaccettati.
Volendo capire meglio cosa comporta la coesistenza di più religioni in uno spazio geografico che per questa ragione vent’anni fa è stato teatro di una delle guerre più sanguinose dell’Europa moderna, sono andata in giro per la città a parlare con la gente che frequenta i diversi luoghi di culto: mi interessa conoscere i punti di vista diretti sul presente e sul futuro di questa convivenza.
Le prime persone che ho incontrato sono due ragazzi musulmani, Haris e Vedat, alla moschea di Careva Džamija. Haris ha gli occhi neri e inizialmente mostra un po’ di diffidenza, ma nel corso della chiacchierata allenta la tensione e si rivela il più loquace; Vedat ha gli occhi azzurri e un sorriso dolce. Hanno entrambi diciannove anni, studiano Scienza Politiche all’Università di Sarajevo e sono intimiditi ma curiosi all’idea di potersi confrontare e proporre la propria opinione. Ci togliamo le scarpe, ci sediamo in cerchio sul tappeto della moschea e iniziamo a parlare.
Con quale spirito convivono oggi le quattro religioni praticate a Sarajevo?
Noi musulmani siamo la maggioranza, ma c’è anche un grande numero di croati cattolici, serbi ortodossi ed ebrei. Per noi giovani non c’è alcun problema di coesistenza, non ci portiamo dietro i rancori della guerra. All’università abbiamo tanti amici cattolici, sin da quando siamo bambini i nostri compagni di classe sono cattolici. La situazione è diversa per i serbi ortodossi. Abbiamo solo tre amici serbi, non è facile stringere amicizia.
E quale pensate sia la ragione?
Il motivo è principalmente uno: molti serbi non accettano la coesistenza di più religioni in Bosnia. Hanno idee nazionaliste, associano il proprio gruppo etnico a un solo credo e negano la multiculturalità di Sarajevo e di tutta la Bosnia ed Erzegovina. Ma noi non crediamo che appartenere alla stessa terra significhi condividerne ogni aspetto culturale. Parliamo la stessa lingua, mangiamo le stesse cose, siamo cresciuti nello stesso ambiente. Differiamo semplicemente per la religione, essendo musulmani.
E in quanto musulmani, vi scontrate con pregiudizi?
Spesso sì. C’è un’idea dominante, che sentiamo particolarmente nell’opinione dei serbi, che i musulmani siano sempre estremisti, bellicosi e intransigenti. Come vedi siamo tranquilli, ed è stancante dover giustificare ad ogni occasione questa “normalità”. Siamo per la libertà di culto nel rispetto di chi la pensa diversamente.
Come pensate si evolverà la situazione religiosa in Bosnia in futuro?
Noi siamo positivi. C’è stata la guerra, e la gente è consapevole degli errori che l’ottusità religiosa può provocare. Però possiamo parlare solo dalla nostra prospettiva, non sappiamo se i serbi siano altrettanto disposti all’accettazione delle differenze. Eppure, il bello di Sarajevo è proprio questa varietà.