Foto e testo di Yuri Materassi.
Una tonnara a riposo è come la quiete prima della tempesta. Sospesa, odora ancora di pesce e di sale. Gli strumenti della mattanza sono riposti un po’ ovunque, le ancore a terra, i banchi dove verrà pulito e inscatolato il pesce sono vuoti.
Fa caldo ad agosto nella tonnara Isola Piana di Carloforte, una delle poche ancora attive in Italia, all’interno ci sono soltanto turisti curiosi, tutto il resto riposa. I proprietari sono orgogliosi di non aver lasciato morire questo antico mestiere. E lo sono sicuramente anche perché “la qualità paga” e il tonno pescato nel mare di Sardegna andrà in giro per tutto il mondo, una volta selezionato e inscatolato. Il tonno venduto qui è di quello pregiato e una scatoletta può valere 20 scatolette o forse più di una normale scatoletta comprata al supermercato.
Il mese della pesca è già passato, è giugno. Anche durante quei giorni vengono organizzate gite turistiche, per far conoscere da vicino questo antico mestiere, questo vecchio rito della mattanza. Qualcosa è cambiato negli anni anche qui, ci raccontano. I tonni non vengono più uccisi come una volta, adesso la morte che gli aspetta è una morte più “tranquilla”. Una volta imprigionati nella tonnara vengono agganciati da un sommozzatore e gli viene messo un sacco per coprirgli gli occhi: “così si rilassano”, questo è il motivo, poi vengono uccisi. Neanche il numero di tonni pescati è quello di una volta. Per cause non ancora certe (l’inquinamento più di tutte) i banchi di tonno non seguono più le vecchie rotte, e molti di loro non passano più da queste parti.
Ma prima di partire per la mattanza, il rais comanda ancora oggi la preghiera dei tonnarotti. Così uomini robusti, dalla pelle provata dal sole e dal sale, abituati a sfidare il mare, uniscono le mani e all’unisono invocano la fortuna e la carità divina. Poi un ultimo urlo del rais: “in nome de Diu molla!”. E il mare celeste si tinge di rosso.