Di mestiere suona il violino, Marco Sica. L’ho incontrato allo Zif festival di Zungoli quest’estate. La camicia sbottonata, un cappello nero, la collana al petto e una sigaretta a lato della bocca che penzola, lui non se ne cura, mentre parla. Lei, la sigaretta, miracolosamente resta attaccata ai lembi delle labbra. Mi chiedo come faccia.
Ci incrociamo ed è un’epifania: “ciao, ma io e te ci conosciamo?”.
Stavo per chiedergli la stessa cosa, le nostre voci sovrapposte, come nei film, hanno fatto il resto. Eppoi la sua storia: la musica fin da bambino, grazie alla passione del padre. La scuola di liuteria di Perugia, per costruirsi gli strumenti e magari farne un mestiere. Nato a Santa Maria Capua Vetere ed emigrato a Parigi, poco più che ventenne, insieme a una banda di gitani italiani che prende il nome di Guappecartò. Poi la famiglia, una bambina, e il trasferimento a Nimes, dove suona con i gitani veri, lì, nella Francia mediterranea, un angolo di mondo che è un incrocio di culture, suoni, lingue. Un angolo di intensa luce e di vento che spira dal Monte Nevoso o dai Pirenei.
“Vieni a Santa Marie La Mer, vieni alla festa dei gitani che si tiene in aprile, ti assicuro che non hai mai visto una cosa del genere nella tua vita”.
Senza che me ne accorga mi trovo immerso nella vita di Marco, detto o’ malament (in napoletano significa il cattivo). Quella volta che a Parigi, insieme al cantante calabrese Tonino Cavallo, trapiantato nella capitale francese da decenni, – cantore della tarantella meridionale – si esibirono prima di Vinicio Capossela, senza che lui ne sapesse nulla. Era il giorno di San Valentino di qualche anno fa, alla Cigale.
“Avevamo con noi gli strumenti e volevamo regalare a Tonino quel palcoscenico. Lui credeva fossimo autorizzati. All’ingresso, con gli strumenti in mano, ci presero per la band di Vinicio. Nessuno ci fermò. Riuscimmo a suonare quindici minuti buoni prima che ci facessero smettere.”
Dovrei dire a Marco che, in una sera d’agosto, ho chiesto conferma al cantautore calitrano dell’accaduto, e che lui ha negato, un po’ stizzito, la circostanza. Ma che importa? Non cambia nulla. Non è un film di Kusturica e i Guappecartò o Tonino Cavallo non sono Goran Bregovic e la sua band. Questa è una piccola storia underground italiana, non balcanica. Ad aprile i suoi Guappecartò saranno in Italia per un tour di presentazione del loro ultimo album che si intitola Rockamboles. Quello che mi aspetto è una miscela di suoni, di generi, impregnati di coraggio e libertà.
A volte, se ripenso al nostro incontro, come in questo caso, è questione di respiro. Le parole di Marco, il modo in cui porta addosso l’esistenza, hanno allungato il mio respiro. Mi hanno spinto lontano e alleggerito un attimo di vita. Così pure le sue movenze alla James Dean. Non è poco, per uno chiamato o’ malament. E’ una storia che mescola il dolce con l’amaro, la sua. Ma non è nulla rispetto alla musica, a quella dei Guappecartò. Bisogna ascoltare per comprendere la storia di Marco Sica. Far tacere le parole e, semplicemente, ascoltare.
Questi sono i Guappecarto’
Il loro sito
Sandro Abruzzese