Testo di Fabio Bertino. Fotografie di Maurizio Raffaele
Catania sotto la pioggia è di una bellezza cruda e potente. Il nero della pietra lavica resa lucida dall’acqua sembra pulsare sugli intarsi bianchi dei palazzi barocchi, mentre le grondaie scaricano i loro getti direttamente sulla strada. Sono le 10 del mattino ed è buio come al tramonto, con le folate di vento che spazzano d’acqua via Vittorio Emanuele. Le nuvole scure coprono il vulcano, ma se ne intuisce comunque la presenza al fondo di via Etnea. Tutta la città sembra guardare in quella direzione. Attraverso Piazza Duomo rannicchiato sotto l’ombrello. In giro non c’è quasi nessuno, e l’assenza di traffico crea un’atmosfera ovattata, irreale. Dopo il diluvio della notte il sindaco ha ordinato la chiusura di scuole e di uffici pubblici, e molti negozi non hanno aperto. Persino le abbanniate, le grida del mercato della Pescheria, giungono attutite, coperte dallo scrosciare dell’acqua. I banchi traboccanti di pesce che in genere invadono la zona sono limitati ai pochi che hanno trovato riparo sotto la galleria di lava nera che ne è il cuore. La fontana dell’Ametrano è chiusa. Oggi niente linzolu, come i catanesi chiamano il getto che scende nella vasca formando un lenzuolo d’acqua. Mi piace camminare da solo per queste strade ora deserte dove alla sera la decadenza spagnolesca dei palazzi si anima di una frizzante movida mediterranea. Scendere i gradini bruni della scalinata Alessi, cercare riparo sotto ai portici ricurvi di Piazza Mazzini, ammirare il cupo splendore di Via Crociferi. Ad ogni angolo mi attende una delle cento chiese della città, dove riposano le candelore intorno alle quali si scatenerà la bolgia del fistinu di Sant’Agata. Mentre mi dirigo al Castello Ursino un colpo di vento più forte degli altri rovescia l’ombrello. Corro a ripararmi sotto al tendone di un piccolo chiosco di piazzetta Maravigna. Mentre prepara il caffè, il ragazzo del bar chiacchiera in dialetto con l’unico altro avventore, un uomo dai capelli bianchi in piedi accanto a me. “Il signore” mi dice poi passando all’italiano e indicando con un cenno del capo il mio vicino “è un puparo. Li ha mai visti, lei, i pupi?”. Senza attendere la risposta l’uomo si presenta con un sorriso imbarazzato. “Piacere, Giuseppe Napoli”. Non riesco a credere a questo incontro così casuale. So bene chi è, ho letto di lui e della sua famiglia. “Marionettistica Fratelli Napoli”, fondata nel 1921. Glielo dico e quasi si schermisce, ma capisco che gli fa piacere. Avrà una sessantina d’anni, il sorriso timido e lo sguardo curioso. Scambiamo qualche parola. Perché sono a Catania, come mi trovo, quanto mi fermo. Poi mi fa una proposta che accetto immediatamente. “Il laboratorio è proprio qui accanto, se vuole glielo mostro”. Usciamo riparandoci con l’ombrello un po’ disastrato. Percorsi pochi metri siamo al laboratorio. Una porta anonima all’interno di un piccolo cortile. Dietro alla quale si nasconde però una stanza delle meraviglie. C’è una gran confusione, e nella penombra la prima impressione è quella di entrare in un magazzino. Una volta accesa la luce, però, appesi alle pareti, accatastati sul grande tavolo, appoggiati qua e là, si rivelano gli eroi di mille avventure cavalleresche.
Rinaldo di Montalbano, riconoscibile dal pennacchio verde e dal leone sullo scudo; la splendida Angelica con i lunghi capelli scuri; Gano di Magonza, il traditore, inconfondibile per via del pennacchio nero; il saraceno Ferraù, con pizzetto e grandi baffi. E infiniti altri personaggi. Ci sono pupi ovunque. Alcuni sono vere e proprie opere d’arte. Come un Orlando gigantesco di metà ‘800, che deve essere alto almeno un metro e mezzo e pesare una trentina di chili. Giuseppe mi fa provare a reggerlo con un solo braccio, alla maniera dei pupari, e quasi non ci riesco. “Mio padre lo ha usato nel suo ultimo spettacolo” dice poi con un velo di commozione.
Ci sono anche pupi ben più moderni, fra i quali spicca un altro Orlando interamente realizzato in lucente acciaio inox. “Penso sia l’unico al mondo. Sbalzare l’acciaio è un lavoro interminabile. Mio fratello ci ha lavorato per più di due anni”.
Questa stanza custodisce la storia intera dell’Opera dei Pupi catanese. Fotografie in bianco e nero, libri, cartelloni dipinti in stile naif che annunciavano l’arrivo della compagnia nelle piazze dei paesi. “Li dipingeva mio zio Rosario, un vero artista”. E poi strumenti di lavoro di ogni tipo.
Il locale è anche il laboratorio in cui Fiorenzo, fratello di Giuseppe, realizza i suoi capolavori, e sparsi qua e là noto punteruoli, martelli da sbalzo, volti in faggio appena abbozzati, scheletri di futuri paladini.
Oggi i pupari sono rimasti in pochi, e gli acquirenti sono soprattutto appassionati e collezionisti. E infatti si tratta di pezzi unici, rifiniti nei minimi particolari, realizzati dopo ricerche minuziose sulle armi, sui volti, sui costumi.
Per metter in scena la “Passione di Gesù secondo Giovanni”, spiega Giuseppe, tutta la famiglia si è impegnata per realizzare i vari personaggi. “Guarda la pettinatura di questo” dice indicando Ponzio Pilato. “Mio nipote Alessandro, che è antropologo, ci ha mostrato le immagini di antiche statue romane, e ci siamo ispirati a quelle”. Il mio nuovo amico parla con una passione infinita di quest’arte a cui ha dedicato tutta la sua vita. Ricorda quando lui e i fratelli, ancora bambini, giravano per i paesi siciliani con il teatrino del padre Natale. “Mettevamo in scena un episodio al giorno. L’intera storia poteva durare anche mesi, ma tutte le sere facevamo il pieno”.
All’epoca Bradamante, Ruggero e Carlo Magno non dovevano lottare contro cinema e televisione. Racconta come la madre, per farli addormentare, leggesse loro le avventure dei paladini di Francia. Parla dell’emozione della prima maniata, l’esordio come manovratore di pupi. E ricorda le molte soddisfazioni di una lunga carriera. Come girare i più importanti teatri d’Italia con la commedia musicale “Rinaldo in campo”, o ricevere il “Praemium Erasmianum” dalle mani dei Reali d’Olanda. “Era il 1978. Ci hanno invitato ad Amsterdam, in un albergo bellissimo, e abbiamo messo in scena “Amore e follia di Orlando” per la famiglia reale. La sera sono venuti a prenderci con quattro enormi limousine. Chi l’avrebbe immaginato, noi semplici pupari di provincia in giro per Amsterdam su una fila di macchinoni di lusso con l’autista!” . Quando esco il cielo è ancora nero e minaccioso ma ha smesso di piovere. Cammino verso via Garibaldi ringraziando questa insolita Sicilia piovosa per l’incontro che mi regalato.
Museo e Teatro dei Pupi F.lli Napoli
Via Reitano 55, Catania
347 0954526
Orari:
Visitabile su prenotazione