di Laura Cini.
In compagnia di Laura Cini, promettente documentarista e film-maker, vi accompagniamo sulle rive del lago Bunyonyi dove la bellezza naturale del luogo può contrastare con antiche tradizioni locali che per lungo tempo hanno segnato la vista di giovani donne “colpevoli” solo di rimanere gravide prima del matrimonio. La pratica del matrimonio è vista dagli abitanti di queste zone non solo come un legame a livello familiare, ma sopratutto economico e sociale. Laura ha intervistato le (poche) donne superstiti della condanna a loro assegnata dalla comunità e ci racconta la loro storia di coraggio, di paura e di esclusione. Il progetto sta ancora aspettando i fondi necessari per svilupparsi e portare alla realizzazione di un grande documentario. Intanto un’anticipazione di questa iniziativa nella speranza che continuiate a seguirla e a sostenerla. Il lago Bunyonyi, in Uganda, è un luogo magico e sperduto che sorprende per la rara bellezza paesaggistica: coste frastagliate e ripide colline terrazzate, una trentina di piccole isole e isolotti, le cime di due vulcani che svettano sullo sfondo, una folta e rigogliosa vegetazione tropicale, fiori dai colori accesi e una moltitudine di uccelli colorati. Ce ne sono circa 200 specie. Bunyonyi, nella lingua locale, significa infatti “luogo abitato da molti piccoli uccelli”. Il lago si trova a poca distanza dal confine con il Rwanda, nel distretto di Kabale della regione Kigezi. L’intera regione, che occupa l’angolo sud-occidentale dell’Uganda, è probabilmente la più fertile e scenografica del paese. La lingua locale è il Rukiga, una lingua bantu, e l’etnia è quella dei Bakiga, una tribù che sembra essere arrivata nella zona dall’odierno Rwanda secoli fa. Erano agricoltori dediti alla coltivazione principalmente del sorgo, dei piselli, dei fagioli e del miglio. Il matrimonio era un vero e proprio contratto tra due famiglie, con la famiglia dello sposo che doveva pagare una dote nuziale a quella della sposa. Nella loro cultura, la verginità pre-matrimoniale era essenziale. Mi trovavo in questo luogo per lavoro e gli abitanti locali mi hanno raccontato una storia, come d’abitudine fanno con i pochi visitatori che finiscono sulle sponde del lago. L’hanno raccontata come si trattasse di una sorta di leggenda, come quella della vicina isola di Upside Down, che pare si sia capovolta su se stessa per un attimo, il tempo di uccidere tutta la popolazione, che era stata sgarbata con una vecchietta assetata, in realtà una strega. Anche quest’altra storia ha a che fare con il punire. Ma erano le donne ad esserlo: quelle che restavano incinte prima del matrimonio. Venivano portate e abbandonate su un isolotto, noto come Akampene o Punishment Island, l’isola della punizione, appunto. Le donne erano destinate a morire di stenti. Ma qualcuna si salvava. Gli uomini poveri, senza mucche per la dote, andavano sull’isola a prendere moglie. Erano rinnegate, e quindi gratuite.
Il mio lavoro è cercare storie da raccontare, e quindi potrà essere comprensibile quanto mi sia subito appassionata alla vicenda. Ma non c’erano prove né documentazioni e nessuno sapeva nemmeno esattamente quando era stata interrotta la pratica. Tornata in Italia, non ho più smesso di pensarci e l’anno scorso convincendo un operatore a venire con me, sono tornata al lago. La speranza intima che coltivavo era quella di trovare delle superstiti. È diventata realtà. Dopo mille peripezie da una parte all’altra del lago, sono riuscita ad entrare in contatto con le ultime sopravvissute a questa terribile pratica. Sorprese e commosse dal mio interesse, per la prima volta nella loro vita hanno parlato di quello che gli era accaduto. Ho così deciso di realizzare un documentario: la storia, così forte e intensa, fornisce un’occasione perfetta per fare un film di alto potenziale cinematografico affrontando una problematica sociale molto seria. Le ragazze delle comunità rurali, in questo luogo, sono ancora allontanate dalle famiglie se restano incinte prima del matrimonio. C’è bisogno di parlare della discriminazione di genere e le ragazze in simili situazioni di isolamento devono acquisire rispetto per loro stesse, consapevolezza dei loro diritti e devono essere sostenute nella lotta contro la loro negazione. Ci siamo già assicurati interviste irripetibili, ma c’è ancora molto da filmare e documentare, ma le superstiti di Akampene sono anziane e vivono in condizioni generali precarie. Ho quindi deciso, senza aspettare i lunghi tempi istituzionali, di lanciare una campagna di raccolta fondi su una piattaforma dedicata. La somma richiesta servirà a raccogliere il minimo necessario per portare una piccola troupe in Uganda a completare almeno le riprese che riguardano le donne, e fare poi un breve premontaggio, essenziale per accedere ai fondi di produzione e post-produzione per i documentari. Tra pochi giorni, sarà aperta la campagna su Ulele.
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Maggiori informazioni su punishmentisland@gmail.com
Potete vedere un video introduttivo:
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Testo e foto di Laura Cini | Presentazione a cura di Marco Turini