Testo e foto di Tommaso Chimenti
Se guardi il mondo, questo è fatto di lunghezze. Di altezze e di larghezze, di ascisse orizzontali e verticali che si perdono, all’orizzonte come verso le nuvole, tramonti e palazzi. L’occhio segue la distanza, cerca di arrivare all’ultimo metro, là disteso oppure lì nel cielo, tra il blu del mare o nel blu del cielo. Follonica ha dentro di sé il “follow”. Follonica segue e prosegue lungo la linea della costa verso sud, rotolandoci, a Follonica puoi seguire il pontile, quel segmento di ferro e acciaio verde che zampetta solido in acqua sulle sue gambe a tronco bianco sporco oppure partire dalla base e inerpicare le retine sopra l’azzurro del “Grattacielo” (ce ne sono due simili in altri luoghi di mare relativamente vicini come Rimini o Livorno), palazzone isolato nel centro città, lasciato solo in mezzo a tante case basse.
Follonica è la lunghezza che sfora, che sfida, che sfonda il mare, è questa sua barriera verde che si lancia e protende verso ciò che non vediamo, il mare aperto, verso ciò che ci fa paura, ed è la lunghezza che si apre, che esplode, che s’affaccia verso ciò che non comprendiamo. Follonica tra due abissi, il profondo e l’altissimo, come se fosse un piano cartesiano racchiusa tra due ascisse che s’incontrano in quel punto infinitesimale sulla cartina, un pallino, un “tu sei qui” cerchiato di rosso che vorrebbe correre sul pontile con le gambe da gru, che sprofondano nell’acqua e sale come fenicottero, che vorrebbe salire fino all’ultimo piano del palazzo azzurro e guardare cosa c’è al di là. Lanciare lo sguardo, seguire l’onda. Follonica ha dentro di sé quel “follow”. Per seguire la linea, il sogno dell’uomo, la curiosità verso il mare, la curiosità verso il cielo.